Compagnia Totò – recensioni

Sepe: compagnia del sentimento.

Senza dubbio Giancarlo Sepe è uno dei quattro o cinque maggiori registi che oggi operano sulle nostre scene. Il suo sentimento del teatro è impareggiabile, ha il senso del ritmo, la capacità di visione, il desiderio di divertire senza essere superficiale, tanto meno leggero o sguaiato come coloro per i quali il divertimento è un feticcio. Voglio essere più preciso: tra i registi di lungo corso non è mai invecchiato. Sepe è sempre se stesso, ma non si ripete. Oppure, ripetendosi riesce a variare, a creare un che di inaspettato, una sorpresa. Recentemente ho parlato di registi che pretendono essere artisti e di altri per i quali l’artigianato è una qualità. Sepe non si vuole ad ogni costo artista, è un artigiano, ma è un artigiano che quasi sempre consegue l’arte. Così succede in “Compagnia Totò”, una prosecuzione ideale del suo fortunato “Napoletango”. In “Compagnia Totò”, in scena all’Ambra Jovinelli, Totò è un simbolo: in suo nome si continua il proprio mestiere che è però, appunto, un’arte. Abbiamo di fronte una compagnia di teatranti, colti nella loro vita quotidiana. Vivono sui treni, dormono in luoghi avventurosi, sono promiscui e chiassosi, ubbidiscono e disubbidiscono al capocomico quasi fossero bambini, si fanno i dispetti, dicono cose sfacciate ma spesso buffe, o poetiche. “Il pedone è l’anello debole della catena stradale”; oppure: “Era stanca e si è buttata dal decimo piano; ma se era stanca, come ha fatto a salire fin lassù?”. C’è il lato riflessivo (quasi un compendio dell’arte teatrale secondo Sepe): “La parola senza il corpo non è niente”; oppure: “Il teatro è vita contro la crudeltà della vita”. Qui Sepe celebra con pochi mezzi la magnificenza del teatro. Potrebbe essere una retorica, ma oggi il teatro lo si fa come un dovere, o come un’ossessione, o come una routine, o come un dato di fatto. Mai come un sacrificio, o come una gioia. Basterà prendere la memorabile scena della processione durante la quale vengono salmodiati, come fossero santi, i nomi dei grandi: Ave (Ninchi), Isa (Barzizza), Sofia (Loren), Titina (De Filippo) e tutti gli altri. Francesco Paolantoni e Giovanni Esposito sono i protagonisti. Tra i tanti magnifici interpreti ricordo quelli che ho riconosciuto, Pino Tufillaro e Alfonso Postiglione.

Franco Cordelli

Corriere della Sera

25-01-2012


Compagnia Totò

La figura di Totò, come si sa, ha generato da sempre omaggi di tutti i tipi, sia quando il Principe era vivo sia, soprattutto, dopo. Totò, direbbe Achille Bonito Oliva, è un archetipo e come tale appartiene alle viscere della nostra società. Eppure una celebrazione come quella concepita da Giancarlo Sepe non si era mai vista.

Il testo, scritto proprio da Sepe, che cura anche la regia, si chiama Compagnia Totò e narra di un uomo che ama talmente il famoso attore da voler creare uno spettacolo in suo onore per presentarlo ogni 15 aprile, data della dipartita del Principe. La trama, però, non rende quello che si prova vedendo lo spettacolo. Ricordate quando Totò creava lo spettacolo di fuochi d’artificio con il suo solo corpo? Ecco, quel concerto di suoni, movimenti, pause e esplosioni viene ricreato da Sepe come solo lui sa fare. L’azione si snoda attraverso coreografie di movimento e di suoni, evocazioni che mescolano la realtà di una compagnia di povera gente con la fantasia della recita per Totò.

Siamo a Napoli, ma anche in Argentina (le musiche che citano vagamente il tango possono ricordare uno degli ultimi grandi successi di Sepe, Napoletango), siamo in un sottoscala, forse di un ospedale di pazzi, ma anche in una botola verso un mondo sognato, siamo fumetti disegnati da Sepe o note di una musica un po’ dissonata e dinoccolata, proprio come Totò. Il cuore però di Compagnia Totò viene fuori quasi a metà spettacolo, in una frase detta dal protagonista, Maestà, interpretato da Paoloantoni. Quando gli viene chiesto perché celebrare Totò, risponde “Totò ha sempre continuato a parlare di noi poveracci ed è per questo che va omaggiato”.

Diceva sempre Bonito Oliva, anni fa, in un documentario, che Totò era la faccia della povertà: una sola giacca che aveva due lati, uno per l’inverno e uno per l’estate. Lo stesso Totò affermava che se non si conosce la fame, non si può far ridere gli altri. Ecco, questo è il senso ultimo di questo concerto per voci, corpi, musiche e Totò. La summa del grande artista sta in qualche modo proprio in questa ora e mezza di segni realizzata da una compagnia di gente che non ha di che vestirsi e non sa dove dormire, ma che ha un santo protettore, che li ha resi protagonisti nelle sue storie e nella sua arte.

Dobbiamo encomiare la collaudata coppia Esposito-Paolantoni, il cui affiatamento rende merito al grande personaggio di Totò, e la compagnia tutta per la bravura estrema nell’interpretare, danzare, cantare e concertare. Basti citare la scena del vagone letto, fatta a ripetizione, cadenzata, come se ci fosse un gioco di specchi fra le varie coppie di attori, oppure l’entrata della compagnia dei poveracci, momento davvero emozionante.

Laura Caparrotti

Visto all’Ambra Jovinelli di Roma