Vai al contenuto

1l Mattino venerdì 4 novembre 2005

Don Chisciotte cavaliere dell’utopia contro la barbarie

di Enrico Fiore

Nella penombra di un capannone polveroso e dimenticato si scovano i libri a li si manda al rogo. E su quell’andirivieni, cieco e cocciuto nella sua cecità, si sveglia 1’hidalgo della Mancia. S’alza dal letto e – passando sotto il lembo sollevato di un sipario su cui risplende l’immagine di un cavaliere in sella a un destriero, altro che Ronzinante – si ritrova tra le macchine da effetti e scopre the il capannone è un teatro, l’unico luogo capace di ridestare la bellezza e i sogni spariti nel fuoco assieme alle pagine che li contenevano.

E’ la sequenza iniziale della nuova edizione del Don Chisciotte di Maurizio Scaparro, presentata al Mercadante dalla Compagnia Italiana. E dunque, appare subito chiaro, e dichiarato, l’assunto di questi ‘frammenti di un discorso teatrale’ (cosi’ recita il sottotitolo) riferiti al capolavoro cervantino nell’adattamento di Rafael Azcona, Tullio Kezich e dello stesso Scaparro: il regista vede Don Chisciotte come un campione dell’utopia e considera il teatro come il baluardo estremo contro la dilagante barbarie che va cancellando il pensiero, la poesia e la cultura.

Ma direi che – a parte le petizioni di principio – un risultato pregnante dello spettacolo sta in quel presunto elmo di Mambrino che piove dall’alto tra i piedi di Don Chisciotte e in quel sacco con i denari legato a una corda che lo tira via ogni volta che Sancio tenta di afferrarlo. Perchè, cosi, possiamo riandare alla decisiva analisi di Foucault,secondo il quale il Cavaliere dalla Triste Figura incarna la frattura determinatasi nell’età moderna fra le parole e l’esistente: è ‘scrittura errante nel mondo in mezzo alla somiglianza delle cose’, poiche ‘la scrittura ha cessato dl essere la prosa del mondo’ e ‘le parole vagano all’avventura, prive di contenuto’.Le cose,insomma,qui sono sempre un accidente o uno scherzo dei comici che dall’inizio alla fine attorniano Don Chisciotte. E, per il resto, risaltano ancora una volta – in linea con la scena di Roberto Francia, i costumi di Lele Luzzati, le musiche di Eugenio Bennato e le coreografle di Mariano Brancaccio – la misura e l’eleganza formale che da sempre costituiscono la cifra stilistica di Scaparro. Una misura e un’eleganza che, del resto, connotano anche la bella prova di Pino Micol (Don Chisciotte), ben affiancato da Augusto Fornari (Sancio) e, fra gii altri, da Fernando Pannullo (il capocomico) e dai figli d’arte Cuticchio coi loro splendidi pupi.

Alla fine Don Chisciotte muore. Ma non è una novità di quest’allestimento, come il regista ha dichiarato ai giornali: quella morte compariva anche nell’allestimento del DonChisciotte che Scaparro realizzò in vista dell’Expo di Siviglia e che vedemmo, proprio al Mercadante, nell’aprile del’92. La novità è che adesso il suo ‘non morire’ Sancio non lo grida piu’volte, come allora, ma una volta sola, a significare the lui stesso in quel grido non crede molto.

Infatti, mori’ anche l’ultimo e piu’ grande degli utopisti contemporanei. Si chiamava Ernesto Che Guevara. Nella lettera di addio ai genitori scrisse, per l’appunto:’Miei cari,

ancora una volta sento sotto i talloni le costole di Ronzinante; mi rimetto in cammino col mio scudo al braccio.Ora una volontà che ho perfezionato con compiacimento di artista sosterrà due gambe molli e due polmoni stanchi’. Ma lo ammazzarono in un angolo sperduto della Bolivia. Non ci furono e non potevano esserci,a salvarlo, le illusioni e gli artifici del teatro.


2IL GIORNALE D’ITALIA giovedì 1 dicembre 2005

‘Don Chisciotte, frammenti di un discorso teatrale’

di Paola Aspri

Una scenografia essenziale che ripropone l’impianto drammaturgico della commedia dell’arte, quell’arte che riflette piu’ di ogni altra cosa 1’esistenza e con essa l’uomo che diventa personaggio per il volere altrui e di se stesso. ‘Don Chisciotte, frammenti di un discorso teatrale’, portato in scena dalla regia di Maurizio Scaparro, per coronare degnamente i 400 anni dalla composizione del romanzo piu’ celebre della storia letteraria internazionale, è tutto questo ed anche di piu’, grazie ad una verità che è elargita egregiamente da attori compenetrati nei ruoli di protagonisti e comprimari. Pino Micol e Augusto Fornari, sono un Don Chisciotte e un Sancho Panza convincenti, simbioticamente uniti in avventure folli e utopiche, frutto della mente di un cavaliere errante dalla figura triste, innamorato della sua Dulcinea, che non è una principessa, ma una povera ‘diavola’. La malinconia, la solitudine e il rimpianto per imprese generose, porta il protagonista ad una discesa agli inferi a contatto con i fantasmi della sua mente, accompagnato dalla terrena visione del suo fidato scudiero. Un emarginato dalla società che lotta per i suoi ideali e si scontra con attori di una Compagnia di girovaghi che tentano di sottrarlo alla vita per chiuderlo dentro un palcoscenico, ma in fondo anche l’uomo recita e lo fa tra le tavole del quotidiano. Cosi Scaparro dà una sua visione al di là di quella di Miguel de Cervantes e la sposa adeguatamente all’adattamento teatrale di Rafael Azcona e Tullio Kezich. A rendere unico uno spettacolo dai ritmi inebrianti e fantasiosi sono ‘ I Pupi dei Figli d’Arte Cuticchio’ che riproducono la commedia dell’arte di un altro cavaliere errante, in antitesi con la figura dell’uomo che lottava contro i mulini a vento, sotto lo sguardo attento del personaggio simbolo che per una volta esce dal libro di Cervantes e assiste, come uno spettatore, alla messinscena delle marionette. La musica di Eugenio Bennato aleggia romanticamente sull’animo poetico dei caratteri. Bravissimi anche Marina Ninchi e Fernando Pannullo. Non mancano colpi di scena per dare alla rappresentazione quella marcia in piu’ di cui il teatro

oggi ha bisogno piu’ che mai.


3IL TEMPO giovedì 1 dicembre 2005

L’inarrestabile marcia di Don Chisciotte

di Tiberia De Matteis

Il Cavaliere errante in bilico tra realtà e finzione è tutto proteso verso una strenua, lacerante e solitaria battaglia contro un mondo incredulo e avverso diventa il simbolo del teatro nello spettacolo ‘Don Chisciotte: frammenti di un discorso teatrale’, presentato all’Argentina con l’adattamento del capolavoro spagnolo firmato da Rafael Azcona, Tullio Kezich e Maurizio Scaparro che firma la regia di un lavoro già approdato al successo internazionale vent’anni fa e adesso rielaborato in una nuova versione.

Protagonista, ora come allora, un Pino Micol visionario e stralunato, quanto intenso ed emotivo, capace di far ruotare intorno a sè un allestimento corale che vanta un immaginifico impianto figurativo grazie alle scene di Roberto Francia,ai costumi di Lele Luzzati,e alle epifanie dei pupi dei Figli d’Arte Cuticchio.Ludico,spontaneo e vagamente allusivo è ii Sancho Panza di Augusto Fornari che ha preso il posto di Peppe Barra, trovando una chiave interpretativa consona alle sue corde e adeguata al ruolo.

L’epopea tragica e risibile dell’utopico hidalgo si sviluppa in una dimensione metateatrale e le creature della sua fantasia si materializzano sulla scena attraverso gli espedienti, i trucchi e le convenzioni dell’arte scenica. Il mulino a vento è un’ombra suggestiva creata con una proiezione, l’elmo di Mambrino è una bacinella da barbiere, gli agenti atmosferici sono effetti provocati da macchinerei teatrali in un gioco delicato e contagioso che dimostra la corrispondenza fra l’iridata follia del personaggio e il coraggio espressivo di chi si impegna nell’universo professionale della rappresentazione.

L’illusione diventa cosi’ un privilegio autentico e doloroso, un’arma di difesa dalle circostanze deludenti e un tentativo di non omologarsi al senso comune. Don Chisciotte è allora un geniale apparatore di eventi e incontri nel candore del suo sogno amoroso e platonico verso Dulcinea, una contadina trasfigurata in essenza della bellezza e della seduzione, quanto nell’ostinazione dl poter modificare il contesto in cui vive. Sarà il regista che si identifica, riscattando giustamente il valore della sua missione?


4CORRIERE DELLA SERA ED.RM giovedì 1 dicembre 2005

Don Chisciotte, quando la follia è un’opportunità

di Paolo Fallai

E adesso chi glielo racconta a tutti quei ragazzi che affollavano, l’ltra sera, il teatro Argentina, che vent’anni fa questo ‘Don Chisciotte’ di Maurizio Scaparro ci accompagnava nella modernità? Allora questo pragmatico utopista del teatro italiano distribuiva Cervantes come un virus: allestendo la prima versione dello spettacolo al festival di Spoleto, facendone un film (presentato negli Stati uniti, ai margini della Silicon Valley) e uno sceneggiato televisivo trasmesso in due puntate da una Rai mesozoica. Fece grande parlare di sè questa versione ‘multimediale’ del Cavaliere dalla Triste figura, mentre noi arrancavamo sui primi pc, avevamo telefoni pieni di fili e cassetti colmi di francobolli. Venti anni dopo, questi ‘Frammenti di un discorso teatrale’ sul Don Chiseiotte tornano all’origine, alla drammaturgia essenziale ottenuta da Scaparro, insieme a Rafael Azcona e Tullio Kezich lavorando di scalpello fine sulla gigantesca montagna del romanzo. Il risultato è un distillato autentico dove non c’è una parola che non sia di Cervantes. La trasfigurazione dell’hidalgo Alonso Quijano nel cavaliere Don Chisciotte non ha bisogno della Mancha: sono piu’ che sufficienti i brandelli di un vecchio teatro, con le macchinerie di scena bene in vista e sipari strappati sullo sfondo. E’ qui che Don Chiseiotte insegue il mito del cavalier cortese, qui dà vita alla Dulcinea che serve ad ogni uomo e ancora qui, sul palcoscenico, si scontra con i mostri giganti, ombre rifesse di un avversario immaginato. La doppia scatola teatrale in cui Maurizio Scaparro avvolge il suo Don Chisciotte lo mette al riparo dalla banalità del rito – come uscirne dopo 400 anni di letture e riletture? – e sposa il dubbio sostanziale sulla follia del protagonista. E’ lui il matto mentre si lascia vestire con una armatura sconclusionata, cade in estasi per la figlia di un porcaro, vola con ali di cartone o sul traballante Clavilegno dei comici? 0 siamo matti noi, i ‘normali’, che ci teniamo stretto il vuoto utilitarismo delle nosire piccole esistenze? Che fortuna per Pino Micol poter tornare in quei panni cosi scomodi a vent’anni e qualche chilo di distanza. Ora l’attore può spingersi fino alla quarta dimension di questo personaggio: quella della consapevolezza, lasciando che il ‘folle errante’ sospenda il suo sguardo, oltre la disillusione, gli insulti. le percosse. Godendosi la libertà guadagnata cosi duramente nei confronti dei ‘normali’. Non sorprende l’efficacia complementare e indispensabile del Sancho Panza di Augusto Fornari che riesce a sottrarsi al ricordo dell’interpretazione che fu di Peppe Barra e al rischio di fare del suo personaggio una macchietta. E’ una conferma la bravura di Fernando Pannullo, capocomico, accanto a Marina Ninchi. Anche grazie a loro l’apparizione stupefacente del carro dei pupi siciliani regala allo spettacolo il momento piu’ commovente. La multimedialità è una truffa e Scaparro lo sapeva benissimo, anche allora. A lui interessava e interessa il sogno, quella soglia che oltrepassa una realtà intollerabile: il paradosso che si fa opportunità. E che ha cercato in Amleto, Riccardo II, Cyrano. Chi glielo racconta ai ragazzi di oggi che il problema non è la tecnologia, ma l’assalto dei ‘normali’ ai pochi sani the rifiutano i meccanismi conformati? Solo il teatro e i pazzi che lo popolano. Don Chisciotte lo dice chiaramente a Sancho Panza, un minuto prima che una dissolvenza (rubata al film) se lo porti via: ‘Se potessi ora, da sano, darti un regno, te lo darei’.


5IL MESSAGGERO sabato 3 dicembre 2005

Cervantes contro i ladri di utopia

di Rita Sala

Lo spettacolo ha solo ventitre anni; il romanzo da cui viene, quattrocento. Forse per questo il ‘Don Chisciotte,frammenti di un discorso teatrale’di Maurizio Scaparro, in scena all’Argentina per l’interpretazione di un adulto, ma oggi pastoso, meditativo e stupendamente estatico Pino Micol, cancella il tempo e le esegesi.

Un po’ di storia della rinata messinscena? Nacque al Festival di Spoleto, divenne film l’anno successivo, ha girato il mondo per piu’ stagioni, approda ora allo Stabile romano, in occasione del quarto centenario del capolavoro di Miguel de Cervantes.Il regista l’ha rinchiusa pure in un dvd.Il cast è cambiato, ma Pino Micol, in età perfetta per impersonare l’hidalgo utopista, resta il perno interpretativo dell’evento.«Dalle tavole della memoria cancellerò tutti i ricordi abitudinari e stupidi, tutte le massime dei libri, tutte le forme del passato che l’osservazione vi ha stampato». Maurizio Scaparro, antesignano in Italia e in Europa della riflessione scenica sull’Utopia, cooptò questa frase dell’Amleto di Shakespeare, qualche stagione fa mettendo in scena Il Giovane Faust (Urfaust) di Goethe. E chiamò a raccolta, attorno al gran Dottore, anche Rostand e Cervantes, nella luce bianca di una luna evocata continuamente, non quella degli ululati e dei sospiri, ma dei viaggi notturni e dei sogni che non hanno mai fine.Utopia, amore degli amori. Amore perduto per Faust, per Cirano, per Don Chisciotte. A guardarlo, il nuovo Cavaliere dalla Triste Figura è davvero per Scaparro (e addosso a Micol) la testimonianza contemporanea di come persino l’idea del Luogo-non-luogo, faro della tensione umana verso la perfezione, ci sia stata espropriata, negata, bucherellata. Don Chisciotte sorride e combatte da lontano, con la smagata tenacia che tiene in piedi anche oggi, nel villaggio globale, gli ultimi idealisti. Coniuga tutti i verbi della cavalleria, relativi all’Uomo e alla Natura. Si abbandona al Sogno, ma senza frustrazione. Onora l’onore, ma togliendogli ogni ombra di stolidità. Ama l’amore, che però sia diagnosi liberale dell’altra metà del mondo. Incanta il proprio servo, ma democraticamente. Rivendica senza lamento. Si fa ecumenico senza sforzo, uscendo dai propri paesaggi, dai propri castelli, dai propri mulini, conscio del compito di essere universale.

Sancho Panza? Augusto Fornari con asciuttezza, vigore e arguzia. Alter ego tridimensionale nel nitore che circonda l’hidalgo. Alla Velazquez.


6IL MANIFESTO domenica 4 dicembre 2005

Il ritorno dell’eroe stralunato della Mancha

di Gianfranco Capitta

Va ancora errando dopo vent’anni il cavaiere Don Chisciotte secondo Maurizio Scaparro (all’Argentina fino a domenica 18, poi in tournee). Riprendendo quel suo antico lavoro, che nel frattempo ha goduto di edizioni tv e dvd, il regista sembra ora piu interessato a esplicitare il sottotitolo a la Barthes, ‘Frammenti di un discorso teatrale’. Pur rimanendo il testo originale (cofirmato da nomi prestigiosi come Azcona e Kezich), lo spettacolo sembra ora privilegiare rispetto alle peripezie del cavaliere di Cervantes (ora al quarto centenario dalla scrittura), proprio l’aspetto della teatralità e dei suoi strumenti, elementi costanti di tutte le cose realizzate da Scaparro. Protagonista è ancora Pino Micol, che dà all’eroe della Mancha, vestito d’armatura e di scarpe di ferro, un tocco ancor piu stralunato e dolorante: sarà, come spiega il regista, che quell’eroe sembra proprio appartenere all’età del ferro anche se si ostina a sognare una ventura quanto improbabile età dell’oro. Debutta come Sancho Panza Augusto Fornari, impegnato a differenziarsi dal disegno che dello scudiero aveva dato Peppe Barra. Attorno a loro rutila la messinscena che dovrebbe essere la’normalità’, ma trattandosi di teatro trionfa il travestimento (i costumi di Lele Luzzati, sempre bellissimi) sulla scena spoglia e funzionale di Roberto Francia, dove guidano le danze Marina Ninchi e Fernando Pannulo, mentre si devono ai Figli d’arte Cuticchio le marionette e il loro teatrino. La follia di Don Chisciotte si trasforma cosi’ nella difficoltà a mantenere la ragione, seppure quella dell’ utopia, in un mondo che ha già scelto il travestimento ossessivo di modi e valori in luogo della trasformazione. E una contundente confusione colpisce piu duro delle delusioni e delle sconfitte del Cavaliere errante. (g. cap.)


7IL GIORNALE ED.Roma martedì 6 dicembre 2005

Un hidalgo malinconico e la giostra delle utopie

di Laura Novelli

‘Quello che v’è di prodigioso nel Don Chisciotte è la perpetua fusione dell’illusione e della realtà, che fa di questo un libro tanto comico e tanto poetico’. Nelle parole di Gustave Flaubert risuona quella vocazione all’utopia che Maurizio Scaparro rincorre da sempre. Oltre vent’ anni fa il celebre regista romano allesti’, infatti il romanzo di Cervantes in uno spettacolo che ha fatto il giro del mondo, riscuotendo ovunque grande successo.

Adesso, dopo aver diretto lavori tesi a sottolineare con garbato allarmismo il valore insostituibile della cultura e del teatro, Scaparro si riaccosta alla moderna epopea del cavaliere errante in una nuova lettura scenica che vuole essere solo in parte una ripresa della precedente. Non fosse altro

perchè a prescindere dall’immutata bellezza del testo,sono cambiati i tempi, è cambiato il teatro, è cambiata -soprattutto – l’aspettativa personale e collettiva rispetto proprio a quell’astrazione utopica che accomuna gli artisti, i poeti, gli spiriti illuminati di ogni tempo.

Tanto che qui l’inguaribile idealismo del protagonista-interpretato ancora una volta da un vibrante Pino Micol – sembra assumere, all’interno di un disegno metateatrale e carnevalesco quanto mai allusivo, il senso di una protesta contro il grigio pragmatismo di chi invece sognare non sa. L’allestimento, su adattamento di Rafael Azcona,Tullio Kezich e lo stesso Scaparro, è ambientato in un teatro in disuso di cui restano solo due praticabili di legno malconci, ancora in grado però di suscitare effetti e magie(firma la scenografia Roberto Francia). Sul fondo, una

tela con un cavallo dipinto; al centro, un letto per il sonno di Micol-Don Chisciotte:anima solitaria di questo teatro della memoria dove è il libro,ricettacolo di mondi possibili fissati su carta, ad aprire la giostra delle utopie. Come se dal rogo dei volumi proibiti accennato nella prima scena fosse necessario salvare un’opera che racchiuda in sè il fertile seme dell’umanità. E’ come se quest’opera stia tutta nella disarmante purezza del suo hidalgo: Micol si cala nel ruolo con generosa sensibilità, accentua i toni nostalgici e mesti e, affiancato da un Sancho Panza buffonesco ma assai affidabile ragionevole (Augusto Fornari), ci si mostra nel candore di un attore-bambino che crede ancora di poter volare, che pensa basti una corazza per fare il cavaliere.A lui spetta,in fondo,la poesia piu’ autentica di questo lavoro suadente e malinconico,dove i Pupi siciliani mossi da Filippo Verna Cuticchio sono chiamati ad incarnare i sentimenti,i desideri,la leggerezza della fantasia.

E non è un caso che,al di là degli scherni degli scettici,questo Don Chisciotte smunto e credulone soddisfi la sua sete di immaginazione confidando nelle ombre di una scena che con apprezzabile coerenza,il manovratore Scaparro spaccia caparbiamente per verità.La verità,ad esempio,di quelle ali di carta che alla fine i due protagonisti indossano per girare al centro del palco vuoto;per partire da li’ verso tutti gli altri ‘altrove’ sognati e sognabili.


8IL GIORNALE martedì 13 dicembre 2005

Don Chisciotte rinasce tra comici e marionette

di Enrico Groppali

Nell’83 Maurizio Scaparro, in un felice triumvirato creativo con Tullio Kezich e Rafael Azcona, eleva lo straordinario ritratto critico che Cervantes sviluppò attorno a Don Chisciotte al livello di un eccezionale progetto multimediale che ebbe per risultato uno spettacolo teatrale poi tramutato in uno sceneggiato tv e in un film. Oggi i ‘frammenti’ dell’epopea cervantina, nel quattrocentesimo anniversario della pubblicazione del capolavoro, tornano in Italia accompagnati dalle bellissime musiche di Bennato e sorretti, sul palco spoglio dell’ Argentina solcato da bagliori tra cui s’intravede in controluce l’immagine donchisciottesca firmata da Dorè, dalle ombre suadenti e coloratissime dei costumi di Luzzati che spiccano come acqueforti sullo sfondo di Roberto Francia. ,

A somiglianza della struttura decantata da Roland Barthes nei ‘Frammenti di un discorso amoroso’, le stazioni del poema si decantano, in un evidente richiamo alla poetica strutturalista, in una grande suite polifonica. Dove la coppia formata da un Pino Micol che gli anni e l’esperienza hanno tramutato in un’immagine poetica di mirabile suggestione e, in sottordine, dal Sancho Panza popolaresco di Augusto Fornari, incontra non la goldoniana barca dei Comici ma i carri carnevaleschi degli spaiati teatranti di Scarron. I quali, pur nel rispetto delle ‘stazioni’ previste dall’autore, assumono valenza di sutura e di catarsi sottolineando il carattere iniziatico della parabola dell’eroe.

Nella visione del regista infatti Don Chisciotte e i comici, a differenza di quanto avveniva nel film di Pabst e nel grandioso progetto di Orson Welles, diventano da ironici contraltari della follia del protagonista, dapprima i suoi salvatori nell’arengo dell’ottimismo plebeo e in seguito i suoi angeli consolatori. Ritti come i santi nelle processioni del Venerdi’ a Siviglia, i commedianti capitanati dal sognatore Fernando Pannullo manovrano a vista, come fossero dei magici avatar destinati a compiere il miracolo, gli splendidi pupi di Mimmo Cuticchio dando voce e corpo al tormento amoroso di Dulcinea. Mutata in una marionetta decorata a festa com’era nelle intenzioni di Gaston Baty quando scrisse la sua personale rivisitazione di Cervantes. In uno spettacolo di magica resa stilistica destinato a un lungo tour europeo.


9L’UNITA’ mercoledì 14 dicembre

Che attore Don Chisciotte che fa Don Chisciotte

di Aggeo Savioli

Nel corso del tempo, il capolavoro narrativo di Miguel de Cervantes ha registrato non poche versioni per la scena e per lo schermo (grande, poi anche piccolo). Torna ora a noi, in un’ aggiornata edizione, quel Don Chisciotte, frammenti di un discorso teatrale che nel 1983, con la regia di Maurizio Scaparro, esordi’ al Festival di Spoleto.Il testo adattato reca, come allora, altre firme: l’italiano Tullio Kezich, lo spegnolo Rafael Azcona. Ma l’accento è da porre, e non sembri un’ovvietà, sull’aggettivo ‘teatrale’, che esclude il semplice ricalco d’un titolo di Roland Barthes, dove era questione di un ‘discorso amoroso’. Infatti questo Don Chisciotte è tutto teatro. Gli spunti che già l’opera cervantesca offre, come l’incontro che il Cavaliere dalla triste figura e il suo scudiero Sancho Panza hanno con una compagnia di artisti girovaghi, si ampliano a coinvolgere l’intera vicenda: Don Chisciotte e Sancho sono attori essi stessi, tesi a identificarsi nei rispettivi personaggi, ma come sospesi tra totale immedesimazione e straniamento critico, quasi proponendo i termini del dilemma sul quale abbiamo visto accanirsi teorici e pratici dell’arte scenica, attraverso i secoli.Lo spettacolo, comunque, non ha nulla di dottrinario o di sussiegoso. Nella sua concisa misura (novanta minuti, senza intervallo) fila dritto

allo scopo di intrattenere, divertire e, perchè no, istruire il suo pubblico, compresi quanti siano ignari o scarsamente memori dell’eccelso modello. Merito certo degli interpreti: Pino Micol e Augusto Fornari nei ruoli maggiori, Fernando Pannullo, Marina Ninchi e una qualificata rappresentanza dei «Figli d’arte Cuticchio» , cui si aggiungono tre strumentisti di riguardo (musiche di Eugenio Bennato). E saranno anche da citare i collaboratori principali dell’impresa.

Roberto Francia che ha disegnato la scenografia, Lele Luzzati congeniale costumista, Mariano Brancaccio che ha curato i rari movimenti di danza. Alla sua ‘prima’ romana, all’Argentina, Don Chisciotte ha raccolto gran copia di applausi, di buon auspicio per le repliche, programmate fino a domenica 18 dicembre.


10IL GIORNALE DELLO SPETTACOLO venerdì 16 dicembre 2005

Terza vita teatrale per il Don Chisciotte

di Ettore Zocaro

Maurizio Scaparro ha ripreso per la terza volta, a dispetto delle tante crescenti difficoltà in corso, il suo ‘Don chisciotte – Frammenti di un discorso teatrale, che rappresenta in questi giorni con successo all’Argentina di Roma. Due le edizioni precedenti dell’adattamento filmato da Rafael Azcona, Tullio Kezich e dallo stesso Scaparro, nell’83, al Festival di Spoleto, nel ’92 in diversi teatri, peraltro anche in lingua spagnola e con attori iberici. Allestimento pure trasposto in un film che, dopo aver circolato nelle sale, sta per essere lanciato sul mercato in formato Dvd. La nuova edizione sarà in giro per due anni, in questa e nella prossima stagione, ed andrà anche all’estero, attesa a Parigi e Madrid. Don Chisciotte, riproposto in coincidenza con il 400° anniversario del romanzo di Miguel de Cervantes, è una partita che Scaparro ha caparbiamente voluto ancora giocare ‘in quanto – dice – la sua materia ‘cavalleresca, impregnata di solitudine e di sogni, piena esaltazione del ‘diverso’e della visionarietà, costituisce l’ideale antidoto all’odierno mondo della globalizzazione e dell’appiattimento. Niente di meglio di questo straordinario capolavoro: rappresentazione di una spiendida realtà utopica difficile da vivere nella società nella quale ci troviamo, a cui il teatro, luogo di tutte le libertà, necessariamente ci riporta. Ho quindi avvertito la necessità di riannodare i fili con l’Hidalgo, campione assoluto dell’eroe errante, come poi lo sono oggi tanti di noi, sbandati, senza bussole, alla disperata ricerca di risposte che tardano ad arrivare. Di solito, è piu’ faticoso della prima volta rimettere in piedi uno spettacolo (ne so qualcosa con il Pulcinella che ho spesso ripreso), questa volta invece mi è parso piu facile, perchè avevo fra le mani un capitale esistente, che nel frattempo aveva meravigliosamente lievitato e che, di conseguenza, sentivo come non mai. E’ stata rispettata la spettacolarità teatrale con un impianto adeguato – aggiunge ii regista -; numerosi gli attori, capitanati da Pino Micol e Augusto Fomari, rispettivamente Chisciotte e Panza, e conservati in tutto il loro splendore i magici costumi dl Emanuele Luzzati. E poi ci sono i pupi siciliani di Cuticchio, che, insieme ad altri etementi artigianali della scenografia di Roberto Francia, rimandano ali’essenza autentica del fare teatro, in un contesto, come quello italiano attuale, che cerca di risparmiare su tutto, è un buon motivo in piu’ per essere soddisfatti’.



LA REPUBBLICA ED.RM sabato 17 dicembre 2005

Quel Don Chisciotte lentezza contemplativa

di Rodolfo Di Giammarco

Entra nel cervello come una forma di indugio, come la lentezza contemplativa delle dinamiche sceniche di Bob Wilson, e come una filosofia del camminare, il clangore apatico dei piedi corazzati con cui Pino Micol fa giri maniacali di campo all’Argentina impersonando l’alienazione del cavaliere errante in

‘Don Chisciotte, frammenti di un discorso teatrale’ di Azcona-Kezich-Scaparro. C’è una Via Crucis lirica, un’angoscia bislacca in questo spettacolo che oggi è piu suggestivo di 22 anni fa, visto che la regia nitida e da Encyclopedie del terzo millennio di Maurizio Scaparro fa appunto leva su una Profana Rappresentazione in cui Micol, con Augusto Fornari che è un Sancio da ruzantiana armata Brancaleone, è davvero l’anima dell’hidalgo, un Icaro che sprofonderà, un epico nemico dei pupi dei figli d’arte Cuticchio. E il programma di sala è da collezione.


12EUROPA sabato 17 dicembre

Si conclude a teatro l’anno di Don Chisciotte

di Alessandra Bernocco

Se Lope de Vega scriveva che ‘nessun nuovo poeta è scadente quanto Cervantes, e nessuno è tanto sciocco da elogiare Don Chisciotte’, Lord Byron, qualche anno piu’ tardi, sosteneva invece che Cervantes aveva fatto scomparire con un sorriso la cavalleria dalla Spagna. D’altra parte, ‘sminuire l’autorità e la considerazione che i romanzi cavallereschi riscuotono nel mondo e fra il volgo’ era precisamente lo scopo dell’autore. Fatto sta che dopo le cinque edizioni consecutive del 1605 in Spagna, El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha, venne stampato a Bruxelles in versione originale e cirque anni dopo tradotto in Inghilterra. Era il periodo giacomiano della King’s Company con Shakespeare, John Fletcher; Thomas Middleton, Ben Jonson e il terreno ricettivo e fertile. Si racconta addirittura che Shakespeare stesso collaborò a una riduzione teatrale del Don Chisciotte, purtroppo andata perduta. Una fortuna analoga si ebbe in Francia, dove si diffusero quasi subito le novelle di Marcela e Grisostomo e del Curioso impertinente, grazie a traduzioni e liberi adattamenti. Finchè, piu di due secoli dopo, Flaubert porrà l’autore del Don Chisciotte accanto a Omero e a Shakespeare: la sua opera, ‘al pari dell’Iliade e dell’Amleto, appartiene alla letteratura universale ed è divenuta per tutte le nazioni un godimento eterno dello spirito».

Strutturato in due parti scritte a distanza di dieci anni, narra le gesta di un hidalgo spagnolo morbosamente appassionato di romanzi cavallereschi, da diventare egli stesso cavaliere errante. Eccolo, allora cambiare ii suo nome da Alonso Quijano in Don Chisciotte della Mancia, per onorare patria e lignaggio, e mettersi in viaggio in sella al suo ronzino, che battezza Ronzinante. Di qui, una serie di parodistici omaggi alla cavalleria medievale, a cominciare dalla scelta di dama e scudiero, rinominati anch’essi secondo protocollo. Tra artifici, prodezze, incantamenti, anche l’anonima bacinella del barbiere verrà scambiata per l’elmo di Mambrino, e le greggi di pecore, per valorosi eserciti di combattenti nemici. E allora saranno botte e fughe, duelli e sfide, tra conquiste di cuori e di terre straniere, e tentativi falliti di liberare principesse e dame di corte. Fino alla lotta contro i mulini a vento, scambiati per giganti dalle braccia rotanti. E’ il gioco del teatro, dove regole e follia si legittimano a vicenda: la ‘follia con metodo , come la definisce Mariateresa Cattaneo nel breve saggio Don Chisciotte a il labirinto teatrale. Ma soprattutto è la natura carnevalesca, e non solo cavalleresca, del romanzo di Cervantes, come sostiene Maurizio Scaparro, regista di ‘Don Chisciotte, frammenti di un discorso teatrale’, attualmente in scena al Teatro Argentina di Roma. Si tratta della ripresa di uno spettacolo che ha alle spalle una storia ventennale. Rappresentato in prima assoluta al Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 1983 e subito dopo ad Almagro, nel cuore della Mancha, approda a San Francisco e a Los Angeles l’anno successivo, insieme all’omonimo film nato in seno ad un progetto multimediale. Un confronto di generi in cui il palcoscenico si attesta a luogo privilegiato di fantasia e libertà. «Forse il piu’ vicino alle alchimie della matrice letteraria». Lo sostiene Tullio Kezich, autore dell’adattamento teatrale insieme a Scaparro e Rafael Azcona, lo sceneggiatore madrileno che fin dagli esordi ha condiviso il progetto. La consegna era precisa: mettere in evidenza l’anima teatrale del romanzo, la ripetuta presenza di ‘luoghi’ teatrali, impliciti o espliciti, i travestimenti e i mutamenti continui, reali e apparenti. Ma anche suggerire che la follia di Don Chisciotte altro non è che la ‘ribellione consapevole’ di un solitario, un finto pazzo che non vuole arrendersi all’omologazione dei sentimenti. Di qui la maschera come strumento e veicolo del vero. Di qui il teatro, come rinnovato gioco di ruoli. ‘Facciamo finta, sembra dire il nostro mentre si accinge alla vestizione che io ero il cavaliere e tu lo scudiero’. Ero, ossia il tempo imperfetto dei giochi dei bambini, delle serve di Jean Genet che si travestono da signora, della pazzia di Amleto o dell’Enrico IV pirandelliano. La codificata sospensione del verosimile e l’assunzione della finzione per far emergere il vero. E allora, quale spazio di rappresentazione migliore, se non un teatro, poteva accogliere i vagabondaggi del corpo e dell’anima di Don Chisciotte e del suo scudiero? Un fatiscente teatro dismesso, dove ancora sopravvive un vecchio palcoscenico, il luogo per elezione della follia legittimata e dei patti condivisi. E’ questa l’idea vincente della regia di Scaparro, che pare abbia trovato tutti d’accordo.

Pino Micol-Don Chisciotte, ora come ventidue anni fa, sopporta una pesante armatura, senza compromettere la gestualità. Di un’esuberanza pianificata che nulla concede all’improvvisazione, incarna a pieno titolo la lucida follia del suo personaggio. Un equilibrio formale da cui non è esente nemmeno il pragmatico e interessato Sancho Panza di Augusto Fornari, e che attiene a tutto lo spettacolo. Nulla infatti è lasciato al caso. Le scene elegantissime di Roberto Francia, dominate dal legno e da un importante arazzo a rappresentare un cavallo, le coreografie di Mariano Brancaccio su musiche di Eugenio Bennato, eseguite dal vivo da Luca Bagagli, Riccardo Del Prete e Alessandra Sigillo, i costumi di Luzzati in un trionfo di colori rubati alla tavolozza. Se fosse un affresco sarebbe di Raffaello o del Perugino, dove tutto è composto, nitido, intatto. Persino troppo, da far venire la voglia di una pennellata sbagliata a scuotere i sensi. In scena anche Marina Ninchi, Fernando Pannullo, Filippo Verna Cuticchio, Francesco Bottai, Stefania Caudullo, Vittorio Cucci, Guia Zapponi e i Pupi dei Figli d’arte Cuticchio.


13AVANTI martedì 27 dicembre 2005

Pino Micol, “Caveliere errante” all’Argentina

di Lucio De Angelis

ROMA – Torna, dopo circa vent’anni, al Teatro Argentina il ‘Don Chisciotte – Frammenti di un discorso teatrale’, diretto da Maurizio Scaparro. Nei panni del protagonista, definito dal regista come uomo ‘in bilico fra passato e futuro’, c’e Pino Micol, mentre a dare corpo al fido scudiero Sancho Panza è Augusto Fornari. L’operazione è realizzata in occasione del quarto centenario della pubblicazione del romanzo, in concomitanza con le celebrazioni che il governo spagnolo sta organizzando in tutt’Europa. L’opera racconta il viaggio di un uomo che, per evadere dalla monotonia di una vita mortificante, dapprima si rifugia nella lettura dei romanzi cavallereschi poi, affascinato dalle fantastiche vicende narrate, prova ad imitare le gesta degli antichi cavalieri andando incontro ad una serie di disavventure dalle quali, puntualmente, uscirà sconfitto. Don Chisciotte, con la sua fantasia, riesce comunque a trasformare il mondo in ciò che lui vorrebbe che fosse. Ed è cosi che scambia mulini a vento per smisurati giganti, osterie per castelli, inseguendo quale suo amore, la dama Dulcinea da lui creduta una principessa, che cambia continuamente apparenze. Da questo sogno Don Chisciotte si risveglierà, ritrovando la ragione, curiosamente solo al momento delta morte: ‘Visse pazzo e mori’ savio’. Si tratta, insomma, di un personaggio campione dell’utopia, che sceglie di percorrere la via della follia come unica forma possibile di ribellione nei confronti della ragione, del linguaggio comunemente accettati, divenendo l’incarnazione tangibile, l’emblema di quel teatro che nel cercane la verità attraverso l’illusione, è piu’ vicino alla fantastica follia. Ed è proprio questo il teatro che da anni racconta Scaparro, quel teatro che lo ha portato ad avvicinarsi ad altre grandi figure come Amleto, Caligola, Don Giovanni, affratellate allo ‘svitato’ Don Chisciotte, dal coraggio della solitudine. Eroi veri, che celati sotto la maschera dell’antieroe. accettano fino in fondo il ruolo del perdente per non rinunciare alla piu’ geniale inventiva, dono prezioso portatore di amore e di pace che, fa dell’uomo creatura irripetibile dell’Universo e per questo irrimediabilmente separata dalla macchina.

La scena non poteva che materializzarsi quindi, dall’idea di Scaparro, in un vecchio teatro, con al posto della platea una pista in terra battuta, quasi come un circo, con vecchie macchine di scena, quali antichi trucchi illusionistici. Il regista mostra cosi’ il Cavaliere errante, che se ne esce dal palcoscenico per andare incontro al pubblico, come alle sue avventure nel mondo, al fine di condividere l’unica cosa per la quale ha combattuto, la follia. Perchè la follia, come la bugia del teatro, è vera solo se l’attore può condividerla appunto con la sua platea. Tullio Kezich, alla sua cinquantesima sceneggiatura, è autore dell’adattamento assieme a Rafael Azcona e allo stesso Scaparro. In quest’opera, oltre ai due protagonisti e ai ‘pupi’ manovrati da Filippo Verna Cuticchio, vivono magicamente dei propri ruoli gli attori Manina Ninchi e Fernando Pannullo, Francesco Bottai, Stefania Caudullo, Vittorio Cucci, Guia Zapponi.


14Corriere del Ticino giovedì 12 gennaio 2006

Don Chisciotte tra follia e verità

Pino Micol grande interprete del personaggio di Cervantes

di Antonio Mariotti

‘E’ Pazzo!E’pazzo!I libri l’hanno reso pazzo!’. Le battute iniziali del Don Chisciotte di Maurizio Scaparro, tornato sulle scene con lo stesso protagonista(Pino Micol) a ventidue anni dalla prima edizione in occasione del quarto centenario della pubblicazione del romanzo,

fanno subito capire in che ottica porsi, tra le tante che si possono adottare di fronte all’opera di Cervantes come di fronte a tutti i capolavori della letteratura. E se Alonso Quijano (non ancora Chisciotte poichè non ancora cavaliere errante) è matto, il mondo immaginario in cui si svolgono le sue avventure non può essere che quello del teatro come ‘il luogo delle follie accettate, l’ambito in cui, per principio, le bugie si trasformano nelle grandi verità’ per citare il testo di Josè Monleon inserito nel programma di sala. Ma il problema, per questo Don Chisciotte cosi come per l’uomo d’oggigiorno, è di non aver piu’ ben chiaro la propria collocazione in quella zona grigia sempre piu’ vasta che sta tra il tangibile e l’immaginario, tra il locale (l’attore in carne ed ossa davanti al suo pubblico) sempre piu’ minacciato e il globale sempre piu’ invadente. Per il cavaliere dalla triste figura i mulini a vento sono giganti dalle braccia roteanti, la bacinella ammaccata di un barbiere è l’elmo di Mambrino, Aldonza la porcara diventa la nobilissima Dulcinea dalla bellezza sovrumana, i pupi in armatura dei nemici da sterminare, gli attori girovaghi travestiti da Diavolo e da Morte si trasformano nel Diavolo e nella Morte. Nel mondo attraversato da Don Chisciotte le sue utopie, tratte dalle pagine del libri che ha divorato (primo fra tutti l’Orlando Furioso), si rivelano a poco a poco i peggiori incubi e le sue eroiche battaglie una serie infinita di sconfitte a di delusioni.E’ l’hidalgo ad essere in ritardo sui tempi o è lui l’unico ancora in grado di scorgere quel barlume di verità che sta per tramontare all’orizzonte, prima di finire a sua volta preda di quel buio mentale entro il quale si dibattono già tutti gli altri, tranne forse il fedele Sancho?

Domande accattivanti che nessuno si sognerebbe di porsi se il Don Chisciotte in scena ancora stasera al teatro di Locarno non fosse in grado di suscitarle. Lo spettacolo di Scaparro, in un’ora e mezza filata e mozzafiato che ha letteralmente saputo magnetizzare l’attenzione del pubblico, non si propone certo come un mero riassunto del capolavoro di Cervantes ma sa trasmetterne alla perfezione lo spirito. E ciò grazie a una messa in scena che sa di classico e si rivela di un’efficacia senza pari: niente microfonini, musica dal vivo giusta e mai protagonista, scenografie semplici e sorprendenti illuminate con giudizio, costumi eleganti ma non sfarzosi che giocano su una vasta gamma di colori. Pino Micol, dal canto suo, è un Don Chisciotte sognante, conscio fino in fondo della propria stranezza e della propria fragilità, tanto che lo s’immagina facilmente volare libero come un uccello dopo essersi disfatto dell’armatura e delle scarpe di ferro che lo trattengono al suolo. Aurgusto Fornari è un Sancho perfetto proprio perchè è all’opposto del suo padrone: concreto quanto lui è astratto, terricolo quanto lui è pindarico, ma al tempo stesso troppo affascinato da quell’isola da governare che lui gli promette per lasciarlo: ‘Solo la morte – dice – ci può separare: la sua» e cosi sarà. Bravi e misuratissimi gli altri interpreti. Martedi sera lunghi a convinti applausi per tutti.