Vai al contenuto

Irma La Dolce è tutt’altro che un’amabile piccola commedia musicale. È un formidabile libretto. Non è un caso se Peter Brook la mise in scena ai suoi tempi.
Con Gérard Daguerre, mio complice in La Pèrichole di cui scrisse gli arrangiamenti, abbiamo voluto creare una Irma molto semplice, fedele al testo originale, lontana della versione di Broadway. Un’Irma del ponte di Caulaincourt, un’Irma alla Breffort, tenero poeta dei sobborghi e alla Monnot, lacerante compositrice delle più belle canzoni di Edith Piaf.
Non grandi effetti musicali, ma una piccola orchestra con gli arrangiamenti del maestro Gérard Daguerre, compositore e arrangiatore della cantante Barbara. Non grandi balletti, non effetti speciali, la storia è sufficiente a creare attenzione.
Un riflettore che illumina una coppia che, a mio parere, eguaglia i grandi amanti della storia. Curiosamente, la storia di questa donna di piacere che cerca l’amore ideale è di incredibile pudore e pone il problema eterno della donna in cerca della sua indipendenza in una società ancora bigotta come quella degli anni ’50.
In un mondo dove i bambini e i giovani sono tormentati dal permissivismo generale e dal sesso servito in tutte le salse, Irma La Dolce prende la dimensione di un racconto morale. Sicuramente non ho cercato di raccontare una favola. Ai tempi di Irma, come al giorno d’oggi, gli uomini sono uomini e il mondo non è meno sinistro di ora. Alexandre Breffort e Marguerite Monnot, attraverso la loro tenerezza, ci conducono al di là del quotidiano in un mondo di sogno ed emozione.
Jérôme Savary