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sforzarsi di assorbire su di sé le ansie, le angosce, i turbamenti e le colpe degli altri per potersi dare tutto a tutti.
scoprire che il mondo, ridotto (sia metaforicamente che nella pratica reale) alle poche persone della ristretta cerchia sociale che si frequenta, si difende da queste spinte all’annullamento di sé negli altri, attraverso le sue riserve sociali pena la sua stessa morte…
somatizzare tragicamente questa scoperta in modo umano (mancando la risposta, ma non il tormento dell'”imitazione” divina)…
Il desiderio di esprimere questi sentimenti raccontando è il primo impulso che può essere sentito in due momenti specifici dell’esistenza; il primo quello autogenetico, nella fase trepidante dell’adolescenza, il secondo, quello filogenetico, in tutte le situazioni storiche dominate dall’incertezza, dall’insicurezza e quindi dall’egoismo, dalla violenza, dalla paura, dalla ribellione solipsista, in una parola dal caos e quindi dal rifugio nell’omologazione di massa, cioè: oggi.
Gli attori per raccontarlo in modo attivo lo devono recitare oggi. Non “al giorno d’oggi”, ma oggi, giorno tale del mese tale all’ora tale, proprio quando il pubblico viene lì a vedere e devono essere il “presente” e l'”attenzione” proprio come il coro del teatro tragico. E se a differenza di quello saranno coinvolti in sentimenti borghesi e quotidiani, sarà proprio quel coinvolgimento il loro modo di interrogare il Mito.
Perché l’Idiota è il più disperato e forse ultimo (e riuscito) tentativo dei nostri tempi di creare un Mito senza l’humus generatore di una tradizione collettiva e sociale alle spalle. C’è dentro una volontà di dell’autore esasperata e sempre presente che non consente di cancellare completamente il romanzo dalla vita dalla rappresentazione. Anzi la presenza di un pensiero concreto che ricordi, riallacci, evochi, alluda, suggerisca e soprattutto fluisca e scorra come un fiume nel quale l’attore giochi a farsi trascinare dalla corrente o ad opporvisi lottando conto di essa o a scomparire annegando trai i suoi flutti e a incanalarla. o ad espanderla o arginarla trasformandola in un lago quieto fino alla morte, la presenza di questo pensiero, dicevo, con cui abbiamo sempre fatto i conti durante l’allestimento, riempie lo spazio teatrale come solo può fare la musica dal vivo quando irradia le sue note dal cuore stesso della scena.
La materia, con tutte queste sue conflittualità, si colloca in uno spazio scenico che è fisico in quanto tale e, nello stesso tempo mentale per la totale rarefazione dei segni più distraenti. L’attore può concentrarsi così sulla necessità del racconto e questo gli consente il piacere urgente e infantile di abitare l’impossibile esperienza di un “vero” stato di innocenza dove l’amore senza riserve sia sostanza, o comunque di offrire a questo stato tutta la fragile e vibrante realtà del Teatro.
Gigi Dall’Aglio