Madre coraggio – note
Brecht è un autore capace di provocare terremoti.
Studiarlo per un anno in modo approfondito con l’aiuto di un drammaturgo di rara umanità come Antonio Tarantino, che ha curato la riscrittura di Madre Coraggio e i suoi figli, mette in luce la scandalosa attualità dei temi contenuti nell’originale e ciò impone una domanda sul senso che ha mettere in scena Brecht oggi.
Diceva Brecht, quando ancora non era un classico monumentale quale è adesso per noi, che per mettere in scena i classici, bisogna deporre il rispetto museale che il tempo deposita sulle loro opere e considerare il mondo e gli uomini al quale lo spettacolo si rivolge nel presente.
Incoraggiati da queste parole abbiamo lavorato per parlare all’Italia del 2008 e non alla Germania del 1939, coscienti che la fede che B.B. e il suo gruppo di lavoro aveva nella possibilità di trasformare il mondo e gli esseri umani attraverso l’arte, getta una provocazione al cinismo nel quale ci siamo rifugiati noi uomini e artisti del nuovo millennio, barricandoci dietro l’oggettività della storia che pare aver dimostrato che tali convinzioni, altro non siano che ingenui anacronismi.
Ma anche se con la caduta del comunismo l’estetica brechtiana esce parzialmente sconfitta, sconfitte non sono le ragioni del dovere della speranza, né quelle che qualunque estetica si fondi su bisogni che sono ispirati, prima di tutto, dal rapporto con la vita.
Da quando Madre Coraggio è stata scritta ad oggi, le guerre non sono mai smesse: milioni di esseri umani, (per lo più donne e bambini, dato che la guerra si nutre più degli inermi che dei soldati), sono morti e continuano a morire.
Forse non possiamo fare molto per queste tragedie, ma possiamo invece attraverso il teatro immettere anticorpi nella società e negli esseri umani che agiscano sull’indifferenza che ha ammalato le nostre anime, che ci consente di vedere scorrere in tv ogni giorno bombe, soldati e morte nella più totale anestesia emotiva.
Siamo forse diventati pietre come dice Tarantino nel breve monologo aggiunto a Madre Coraggio prima della sepoltura di Katrin, non sentiamo più niente…
Ma se, come diceva Hannah Arendt a proposito del nazismo, l’essere umano è ancora capace di un gesto di pensiero, di un gesto di pietà, può interrompere la catena di trasmissione impersonale e indifferente con cui la violenza trascina nel buio e nell’orrore.
A questa “speranza muta” si è affidato il nostro gruppo di lavoro ritenendo che la prima guerra contro cui combattere, sia la guerra sepolta nella quotidianità del nostro paese, l’Italia sofferente in cui viviamo e di cui troppo poco ci occupiamo.
Cristina Pezzoli