Madre coraggio – scene e costumi

Un luogo senza tempo, una lingua di terra scoscesa, ‘teatro’ di perenne battaglia, enorme tam tam sul quale rimbombano i suoni della guerra, insieme al fragore di tuono di minacciose lastre di ferro che oscillano e si urtano. I resti combusti e rattoppati di accampamenti provvisori, morti e rinati più volte, un collage di stracci lacerati dal tempo e dalla lotta. La miseria, la necessità di tirare avanti, il rifiuto categorico di soccombere danno la forza di spingere su per questa erta desolata le traballanti ruote di un carro che porta un triste carico di cose e di persone: il bagaglio informe di chi della guerra ha fatto il proprio mezzo di sussistenza e al tempo stesso il proprio boia.

Bruno Buononcontri


madre-sceneI costumi di questa edizione di Madre Coraggio cercano di ripercorrere il bel lavoro di riscrittura scenica di Antonio Tarantino. Come Antonio ha cercato di evidenziare le stratificazioni del linguaggio brechtiano, la complessità di sensi e segni che attraversano il testo, così il mio lavoro ha tentato di sintetizzare l’assoluta compresenza di significati che le parole suggeriscono. Se la guerra è la Guerra dei Trent’anni, è anche la forma di tutte le guerre basate sulla

differenza e sulla diffidenza; allora coesistono le armature, i cappotti e le tute mimetiche. Non ha avuto importanza ricostruire, ma inventare, citare, trasportare un segno storico per renderlo meta-storico, illimitato.

Il dolore, la disperazione, la povertà è la medesima in ogni epoca.

E allora è proprio Madre Coraggio, attraversando le tappe di questo lungo cammino, a portare su di sé il senso del nostro lavoro. Se all’inizio può ricordare una grossa matrona uscita e attorniata dal mondo di un Brueghel, pian piano si spoglia, si asciuga, si trasforma nella Madre dolorosa di un calvario, in una zingara spodestata dal suo campo, nell’immagine stessa dell’avida guerra, che si arma di paramenti militari, per farsi bella di una ricchezza effimera.

Gianluca Falaschi