Morso di luna nuova – curiosità

LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI

L’insurrezione delle Quattro Giornate di Napoli, che permise la liberazione della città dai tedeschi, nacque come reazione ad una serie di fattori come i rastrellamenti dei tedeschi (che riuscirono ad internare 18.000 uomini), l’ordine di sgombero di tutta l’area occidentale cittadina, la sistematica distruzione delle fabbriche e del porto ed ebbe anche un significato politico e militare. Militare perché impegnò per più giorni e costrinse alla resa le truppe tedesche che si erano rafforzate, politico perché nel corso della rivolta crebbero gli elementi di autorganizzazione, anche se non fu possibile creare un comando unificato. Fu costituito il Fronte Unico Rivoluzionario che ebbe sede nel Liceo Sannazaro di Napoli. La rivolta partenopea non deve essere considerata un fatto isolato. Essa fu preceduta e seguita da un insieme di stragi, eccidi, veri e propri momenti insurrezionali in provincia di Napoli e nell’area di Terra di Lavoro. A parte il dolore della gente che aveva visto i loro figli partiti per il fronte, i napoletani ebbero il vero impatto con la guerra solo il primo novembre del 1940, quando vi fu un bombardamento aereo inglese. Dal 1940 al 1944 Napoli fu fatta oggetto di più di cento bombardamenti indiscriminati che procurarono quasi 30.000 morti. Napoli, sventrata dai bombardamenti, s’era come svuotata, abbandonata da intere famiglie in fuga nelle campagne. Erano rimasti i rassegnati, gli indifferenti, i fascisti, e i disperati. Furono questi ultimi a ribellarsi, a passare dalla disperazione all’esasperazione per i soprusi nazisti, dopo l’occupazione della città. I tedeschi erano ancora indecisi sul da farsi, temevano la rapida avanzata degli Alleati sbarcati a Salerno e, mentre cercavano di disarmare le truppe italiane, si preparavano ad abbandonare la città dandosi al saccheggio dei negozi. Numerosi furono gli episodi di resistenza; uomini, donne, ragazzi, soldati e marinai diedero prova di audacia e patriottismo. Il 12 settembre i tedeschi decisero di sospendere i preparativi per la ritirata e di instaurare col terrore il loro pieno dominio sulla città. I contingenti della Vª Armata sbarcati a Salerno l’8 settembre, non avevano colto di sorpresa i tedeschi che fecero affluire rapidamente delle formazioni corazzate per impedire la loro avanzata. Il comando tedesco pensò addirittura di riuscire a cacciare a mare gli americani e obbligarli a reimbarcarsi, comunque non doveva più temere una minaccia immediata su Napoli. Un corriere da Berlino portò al comandante tedesco Scholl l’ordine di non lasciare la città e, in caso di avanzata degli Alleati, di non abbandonarla prima di averla ridotta ‘in cenere e fango’. Nel pomeriggio del giorno stesso, il colonnello faceva avanzare una colonna motorizzata che penetrò in città sparando a zero sulle case e lungo le strade. L’ordine era di annientare gli ultimi capisaldi della resistenza italiana distruggendo, per rappresaglia, case e quartieri dove i patrioti si erano battuti. Mentre l’opera vandalica si estendeva ai vicoli circostanti, gli artiglieri e i marinai italiani si difesero sino all’ultimo; tratti prigionieri gli ultimi difensori, otto marinai e soldati furono fucilati di fronte al palazzo dell’Ammiragliato. Domenica di sangue per i napoletani il 12 settembre ed anche il lunedì seguente, nelle due giornate furono uccisi per le strade della città decine di militari italiani, 27 civili e 185 persone ricoverate negli ospedali. Oltre quattromila tra militari e cittadini vennero tratti prigionieri e immediatamente portati alla stazione per essere avviati alla deportazione ed al lavoro obbligatorio.

Il 13 settembre veniva pubblicato il drastico proclama emanato il giorno prima dal Comando tedesco:

1. Con provvedimento immediato ho assunto da oggi il Comando assoluto con pieni poteri della città di Napoli e dintorni.

2. Ogni singolo cittadino che si comporta calmo e disciplinato avrà la mia protezione. Chiunque però agisca apertamente o subdolamente contro le forze armate germaniche sarà passato per le armi. Inoltre il luogo del fatto e i dintorni immediati del nascondiglio dell’autore verranno distrutti e ridotti a rovine. Ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato cento volte.

3. Ordino il coprifuoco dalle ore 20 alle ore 6. Solo in caso di allarme si potrà fare uso della strada per recarsi al ricovero vicino.

4. Esiste lo stato d’assedio.

5. Entro 24 ore dovranno essere consegnate tutte le armi e munizioni di qualsiasi genere, ivi compresi i fucili da caccia, le granate a mano, ecc. Chiunque, trascorso tale termine, verrà trovato in possesso di un’arma, verrà immediatamente passato per le armi. La consegna delle armi e munizioni si effettuerà alle ronde militari germaniche. [Erano indicate le località]

6. Cittadini mantenetevi calmi e siate ragionevoli. Questi ordini e le già eseguite rappresaglie si rendono necessarie perché un gran numero di soldati e ufficiali germanici che non facevano altro che adempiere ai propri doveri furono vilmente assassinati o gravemente feriti, anzi in alcuni casi i feriti anche vilipesi e maltrattati in modo indegno da parte di un popolo civile.

Napoli, 12 settembre 1943 firmato SCHOLL Colonnello

Vedersi ridotti alla condizione di schiavi, doversi nascondere per sopravvivere in una città dilaniata, per sottrarsi ai rastrellamenti e alle catture indiscriminate, per evitare quel servizio obbligatorio di lavoro che altro non era che l’anticamera della deportazione e dello sterminio: ecco, tutto questo insopportabile bagaglio di prevaricazioni determinò la svolta, aprì le porte agli eventi. La rabbia dei nazisti per il fallimento del servizio obbligatorio venne espressa nel manifesto del 26 settembre emanato dal comandante Scholl, che gridava al sabotaggio e minacciava di fucilare all’istante i contravventori:

Al decreto per il servizio obbligatorio di lavoro hanno corrisposto in quattro sezioni della città complessivamente circa 150 persone, mentre secondo lo stato civile avrebbero dovuto presentarsi oltre 30.000 persone. Da ciò risulta il sabotaggio che viene praticato contro gli ordini delle Forze Armate Germaniche e del Ministero degli Interni Italiano. Incominciando da domani, per mezzo di ronde militari, farò fermare gli inadempienti. Coloro che non presentandosi sono contravvenuti agli ordini pubblicati, saranno dalle ronde senza indugio fucilati.

Il Comandante di Napoli Scholl

Il giorno dopo, il 27 settembre, ebbe inizio la caccia all’uomo: le strade vennero bloccate e tutti gli uomini, senza limiti di età, furono caricati con la forza sui camion per essere avviati al lavoro forzato in Germania. A questo punto, per i napoletani non c’erano alternative: se volevano sfuggire alla deportazione dovevano combattere contro i tedeschi e impedire che attuassero i loro piani. Cosi, senza essere né preparata né organizzata, scoppiò l’insurrezione di Napoli, una risposta spontanea in cui erano presenti anche i partiti antifascisti ma senza avere quella funzione di guida che avranno invece durante la lotta partigiana. I napoletani uscirono allo scoperto nelle prime ore del 28 settembre: erano armati alla meglio, con vecchi fucili, pistole, bombe a mano, bottiglie incendiarie che avevano subito imparato a costruire e qualche mitragliatrice leggera nascosta nei giorni dell’armistizio. Altre armi se le procurarono combattendo. Tutto ciò sconcertò il comando tedesco che non si attendeva questa reazione. La scintilla scoppiò al Vomero: erano da poco passate le nove quando giunse la notizia che un marinaio era stato freddato con un colpo di pistola; una decina di giovanissimi, il più grande dei quali non aveva ancora vent’anni, stavano bevendo il caffé al Bar Sangiuliano in Piazza Vanvitelli, quando… come ad un segnale convenuto uscirono di corsa dal bar e si precipitarono addosso a tre tedeschi che occupavano una jeep di stanza nella piazza costringendoli a scendere dall’auto che incendiarono. I tedeschi approfittarono di questo momento per fuggire e dare l’allarme. Giunsero soldati in massa ma i giovani non desistettero e si rifugiarono nel Museo di San Martino, mentre la voce si diffondeva in città. Fu un attimo. Tutte le strade che portavano fuori della città furono bloccate da suppellettili, che piovevano dalle finestre per ostruire il passaggio all’uscita come all’entrata. Per quattro giorni, dal 28 settembre all’1 ottobre 1943, i napoletani scelsero la lotta aperta, imbracciarono le armi, eressero barricate, lanciarono bombe, tesero agguati, costringendo le truppe tedesche alla resa, alla fuga. Le azioni di scontro in ogni quartiere, infittite e protratte negli ultimi quattro giorni del settembre e nella mattinata del primo ottobre, furono decisive per affrettare l’abbandono della città da parte delle truppe tedesche proprio per l’attiva solidarietà della popolazione con quel pugno di combattenti, che si moltiplicava in ogni punto di Napoli. I tedeschi avrebbero voluto ridurre l’abitato a cenere e fango, avevano minato, fatto saltare in aria, incendiato case, alberghi, battelli in mare, impianti ecc.. Le distruzioni sarebbero state infinitamente maggiori se la popolazione non fosse coralmente insorta a sostenere i suoi studenti, i suoi operai, i suoi uomini più consapevoli nella lotta aperta. Questo il bollettino delle 4 giornate: oltre 2.000 combattenti, 168 patrioti caduti in combattimento, 162 i feriti, 140 le vittime tra i civili, 19 i morti non identificati, 162 i feriti, 75 gli invalidi permanenti. I tedeschi, all’alba del primo ottobre, si ritirarono (compiendo vili rappresaglie tra le persone che incontravano sul loro cammino). Quando gli alleati entrarono in città, non trovarono un nemico che fosse uno. Napoli s’era liberata da sola.