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2013

Milano: ‘Occidente solitario’, commedia nera al Tieffe Teatro Menotti

Due fratelli, Coleman (Claudio Santamaria) e Valene (Filippo Nigro), due anime che vivono in un piccolo villaggio dell’Irlanda cattolica, si trovano a condividere una casa silenziosa e vuota dopo la morte del padre. “Occidente solitario”, piéce teatrale scritta dal regista e commediografo inglese Martin McDonagh e diretta da Juan Diego Puerta Lopez in scena al Tieffe Teatro Menotti di Milano, racconta di un mondo che ha rinnegato ogni legge morale, dove gli uomini vivono ogni giorno della loro vita con cinismo e non hanno mai conosciuto l’amore, la comprensione, la fiducia. I due fratelli non parlano veramente ma ognuno di loro vive in un mondo proprio, fatto di poche certezze materiali e un cuore freddo e arido. Spesso viene a trovarli un prete, Padre Welch (Massimo De Santis), incapace di sopportare le assurdità che vede non solo in quella casa ma in tutta la piccola comunità, sopraffatto costantemente da senso di incapacità nel trovare una via di salvezza per quelle anime, ormai perse nei loro deliri. Per sopravvivere, beve continuamente e disperatamente. Ogni giorno cerca di aiutare i due fratelli: cerca di avvicinarli, di farli ragionare, di recuperare un rapporto fraterno dimenticato ma forse non c’è più speranza… Quarto personaggio che anima la scena, Ragazzina, una giovane donna che vende whisky a domicilio; maliziosa e sfrontata, gioca con gli uomini ma uno solo cattura la sua attenzione, proprio colui che le spezzerà il cuore e la farà annegare in un’oscurità senza ritorno. I personaggi sono scritti con grande cura e attenzione; Coleman ha ucciso il padre e non prova il più piccolo rimorso. La sua vita scorre lenta, senza uno scopo se non quella di stuzzicare il fratello e colpirlo nei suoi punti deboli; mangia, scroccando dove può e a chi può, convinto che la vita vada vissuta cercando sempre e comunque lo scontro, unica forma di comunicazione. Il fratello Valene è perennemente ubriaco e ossessionato dal possesso: ogni oggetto in casa è marcato dalle sue iniziali, compresa la sua collezione di statue della Vergine Maria. Per lui esiste solo un sentimento, l’odio, inesauribile e dilagante. Il testo è intenso e ironico, capace di far sorridere amaramente, di lasciare nello spettatore un’impronta alla fine dello spettacolo che apre un’attenta riflessione sulla società e sulla sostanza dei rapporti umani, qui estremizzati ma che scuotono e non lasciano indifferenti. Bravissimi Filippo Nigro e Claudia Santamaria, capaci di dare anima e voce a due personaggi ai margini, due anime perse che anche quando cercano di salire in superficie vengono risucchiati immediatamente nell’oscurità avvolti dal delirio e da una stravaganza grottesca. Gli scontri tra i due fratelli sono molto realistici, in scena si avverte la verità della lotta tra due corpi, senza reticenze, senza costruzione, due uomini che lottano per il nulla che li avvolge e li sommerge. Massimo De Santis è un ottimo padre Welch, debole, fragile, un uomo incapace di vivere con fede e per questo un fallimento nel suo ruolo di salvatore delle anime; la disperazione che pian piano s’impadronisce di lui, si manifesta momento dopo momento sul suo viso e nulla potrà più salvarlo. Azzurra Antonacci, unica donna in scena, attraversa il racconto in un crescendo; si presenta maliziosa e sfrontata, quasi un’anima leggera in una casa grondante di tensione e si congeda sommersa da quel senso di smarrimento e disperazione che copre ogni cosa. Le scene sono di Bruno Buonincontri, i costumi di Caterina Nardi, il disegno luci di Sergio Ciattaglia e la musica originale è firmata da Riccardo Bertini. Lo spettacolo proseguirà la tournée fino a primi di marzo; prossime date l’11 febbraio a Ciriè (To), il 13 a Isernia, il 14 a Avellino, il 18 a Cagliari, il 1 marzo a Porto Sant’Elpidio (Fm) e il 2 marzo a Crevalcore (Bo).

Tamara Malleo
Recensito.net
01 febbraio 2013

 


Occidente Solitario

Dal 29 gennaio al 10 febbraio 2013 presso il Teatro Menotti di Milano è in scena un interessante ed intenso spettacolo con due tra i migliori attori della generazione dei quarantenni, Claudio Santamaria e Filippo Nigro.

 I due attori mettono in scena con grinta e convinzione una piéce scritta da Martin McDonaugh dai contorni noir, la vicenda si svolge in un paesino irlandese non precisato e vede il difficile rapporto fra due fratelli alcolizzati e pieni di odio rancoroso l’uno verso l’altro; uno dei due ha sparato in testa al padre durante una battuta di caccia… In mezzo ai due fratelli-coltelli vi è un prete anch’egli alcolizzato e con pochissima fede nella missione evangelica che cerca, vanamente, di mettere d’accordo i due fratelli. La figura del prete è quella di un uomo pieno di dubbi, deluso nella pratica della sua vocazione sacerdotale e forse proprio per questo finirà tragicamente… Questo personaggio tormentato è interpretato da un ottimo Massimo De Santis che quest’anno ha partecipato, lasciando un segno importante, a due serie tv di successo, RIS Roma Delitti Imperfetti e Squadra antimafia Palermo oggi 4; si tratta di uno dei volti emergenti più interessanti di cui sentiremo parlare in futuro. Il quarto personaggio, forse quello più positivo o per meglio dire meno negativo, è Ragazzina, questo è il suo nome, che nutre sentimenti ingenuamente amorosi per il povero prete, e vende whisky clandestinamente in paese ed in particolare ai due fratelli…
Ragazzina, interpretata da una toccante e convincente Azzurra Antonacci, è il personaggio che rappresenta il candore impotente in un mondo immerso nel buio più assoluto ed impenetrabile.
 Una piéce dai contorni noir che vuole farsi metafora sulla miserevole condizione dell’uomo… Molto anticlericale e, ahimè, molto attuale… Gli attori reggono molto bene tutto il lavoro che è denso e potente […] Cosa dire di Claudio Santamaria e Filippo Nigro? Si può semplicemente dire che sono stati straordinari ed efficaci; è il caso di dire chapeau…

Ettore Calvello
QuartoPotere.com
30 gennaio 2013

 


Teatro Menotti: recensione di Occidente Solitario con Claudio Santamaria e Filippo Nigro

Una commedia nera che dipinge tinte di cinismo spinte fino al grottesco, durante due ore di spettacolo che inducono il pubblico a ridere per liberarsi da una sensazione, volutamente indotta, vicina alla claustrofobia. Sul palco del Teatro Menotti ieri sera la prima di Occidente Solitario è stata accolta da una sala gremita e da tanti applausi. In scena l’impossibilità di dialogo di due fratelli, resi con efficacia interpretativa da due attori noti al grande pubblico: Claudio Santamaria, il selvaggio e crudele Coleman e Filippo Nigro, che ha dato vita all’ossessivo e immorale Valene. I personaggi – oltre ai fratelli un prete ubriacone e con crisi di identità, interpretato da Massimo De Santis, e Ragazzina, Azzurra Antonacci, unica presenza femminile a metà tra cinismo e sentimentalismo – si muovono sullo sfondo di un villaggio irlandese non meglio identificato, quasi un luogo universale abitato da incomprensioni portate all’eccesso. L’opera del commediografo Martin McDonagh si snoda sotto la regia del colombiano Juan Diego Puerta Lopez in dialoghi incalzanti e ritmati da un umorismo cinico che paradossalmente decretano, battuta dopo battuta, l’impossibilità di comunicazione in un’atmosfera quotidiana priva di morale e deformate da un atteggiamento di totale chiusura nei confronti degli altri. Quasi tutta l’azione si svolge all’interno della casa maltenuta dei due fratelli, allo sfacelo come il loro rapporto: un tavolo, due sedie, una poltrona, un paio di credenze, un forno e tante statuette di Maria diventano gli oggetti del contendere, più importanti dei legami familiari. L’unico orizzonte possibile sembra una strage inevitabile, eppure, la chiave interpretativa lascia uno spiraglio a una pur tenue speranza che obbliga il pubblico al coinvolgimento.

Alessandra Boiardi
Milano Weekend.it
30 gennaio 2013


2012

Santamaria e Nigro fratelli che si odiano, espressione del Male

Una compagnia di grande richiamo (con Claudio Santamaria, Filippo Nigro, Nicole Nurgia e Massimo De Santis); un autore di affermato talento (Martin McDonagh, irlandese dalla fantasia tagliente alla Beckett), un allestimento curato nei minimi dal regista Juan Diego Puerta Lopez, e il gioco è fatto: grande affluenza di pubblico attento e competente al Teatro Comunale di Trecastagni e al centro Zo di Catania. Bravi gli attori che sanno dare corpo a personaggi che definire acidi è solo un eufemismo; ancora più bravi perché vanno al nodo della questione moderna: la violenza, l’odio, la diffusione del male gratuito. Nella Irlanda che conobbe in epoche scurissime l’apostolato di San Colombano, parlare del martirio del prete si può senza cadere nelle convenzioni retoriche, parlare del mal seme di Adamo anche dentro le mura domestiche, si deve; scorgere le sottili trame della rabbia “where the grapes of wrath are stored”, si può volere. Tutte e tre queste situazioni ricorrono nei due intensi atti, segnati da una ossessiva musica originale, di Riccardo Bertini, sulle scene calzanti allo scopo di Bruno Buonincontri , sulla traduzione aspra di Luca Scarlini che nulla lascia sottinteso. Lo spettacolo è duro: con due fratelli che si odiano (Romolo e Remo), con un figlio che uccide di proposito il padre (come fece Aligi): ho citato personaggi mitologici per esemplificare il male che cova nascosto nella storia umana. Il merito della commedia, del regista che la ha scelta e degli artisti che le hanno dato vita, è stato di affrontare un tema scomodo portandolo nella quotidianità: dove i personaggi menzionati nutrono sentimenti spaventosi, ma sono modesti nel loro ambito di vita: si rubacchiano una bottiglia di liquore; si fanno i dispetti per gelosia; non sanno pronunciare una sola parola senza metterci di mezzo il più sciatto turpiloquio. Anche il prete ama l’alcol, sorride alle ragazze ed è tutt’altro che eroico: perché l’eroismo giunge dalla disperazione di non riuscire a far prevalere il bene, neanche nel registro più grigio della vita quotidiana. Si potrebbe intendere come una commedia satirica: anche se il pubblico del debutto ha subito colto come sotto la superficie paradossale si nascondeva il fosco Male. E’ uno spettacolo che nessuna tv e pochi commentatori oseranno annunciare.
Sergio Sciacca
La Sicilia, 23-04-2012


Fratelli d’umorismo nero

Oggi Martin McDonagh ha 42 anni, ma ne aveva solo 27 quando ben quattro sue commedie andarono in scena contemporaneamente in altrettanti teatri del West End. Una era Occidente Solitario, oggi ripresa nella spigliata traduzione di Luca Scarlini. Come le altre di questo inglese dalle radici nell’isola di San Patrizio si svolge in una Irlanda più che periferica, abbandonata, ovvero nella claustrofobica casetta ai margini di chissà quale paesino dove vivono due fratelli dei quali solo uno, Valene, sembra uscire ogni tanto per svolgere una non specificata attività lavorativa. L’altro, Coleman, vegeta rubacchiandogli il whisky e facendogli dei dispetti che lo esasperano. Tuttavia è Valene almeno in teoria che comanda, facendo pesare all’altro che i soldi li ha lui e indulgendo alle proprie manie, come quella di riempire la dimora di statuette della Madonna. Le continue schermaglie tra i due hanno come osservatori occasionali una ragazzina e un prete alcolizzato. Fatto sta che i fratelli hanno uno scheletro nell’armadio, quello del padre che Coleman ha ammazzato, dovendo poi cedere a Valene, in cambio della testimonianza che lo ha scagionato, l’eredità della casa. L’astio incessante tra i due, conseguenza di questo patto scellerato, è diventato l’unica loro ragione di vita, tanto da annullare gli sforzi e persino il sacrificio per produrre una sorta di riappacificazione. Commedia di invettive domestiche con sottofondo simbolico, dunque, nella tradizione di Strindberg e di Albee, brillantemente sostenuta dall’umorismo nero del dialogo e dalla scattante interpretazione di Claudio Santamaria e Filippo Nigro per la regia di Juan Diego Puerta Lopez.
Masolino D’Amico
La Stampa, 10-04-2012


L’Occidente solitario in scena

“Doglia di parente, doglia di dente”. Non è solo un datato proverbio l’unico modo di sintetizzare “la prima” della stagione di prosa del Teatro Rendano. “Occidente Solitario” è infatti molto di più: due “fratelli coltelli”, interpretati da Claudio Santamaria e Filippo Nigro, che s’azzuffano e s’insultano in modo veemente, una spontanea esclamazione di disagio, un “ehi!” che arriva diretto dal pubblico sin dalle battute iniziali. Questo è il teatro e questo è uno spettacolo che dunque funzione, uno spettacolo “vero”. I due attori, che rispettivamente interpretano i personaggi di Coleman e Valene, si confrontano con un testo non facile nato dalla penna di Martin McDonagh. Due miserabili e ignoranti fratelli che mettono in piedi un registro linguistico più che volgare, consolidato in anni di convivenza “forzata”, nonché da intendersi come l’unico modo che i due conoscono per comunicare: il peggiore che possa mai essere stato concepito. Provate pure ad immaginarlo. Una storia che tira in ballo tematiche morali ed etiche. Un villaggio della cattolicissima Irlanda che nelle vesti dei suoi abitanti propone in ogni scena la distruzione totale di qualsiasi valore cardine della Chiesa intesa come istituzione nonché declinata nel suo immane lavoro di recupero sociale e umano. Lo spettacolo, arricchito da una splendida scenografia, si apre con Coleman e Valene che tornano a casa dopo il funerale del padre (ucciso dal primo dei due figli per un motivo assurdo, futile) in compagnia di Padre Welsh, interpretato invece da Massimo De Santis. La morte del padre sembra però essere l’ultimo dei loro pensieri. Il litigio prima di tutto e per qualsiasi motivo: dalle patatine vicendevolmente rubate, al whisky allungato per dispetto con l’acqua, al vanto continuo di conquiste amorose di fatto mai avvenute, alle orecchie mozzate di un povero cane. La costante e continua depressione di Padre Welsh è un po’ il fulcro della storia. Inerme, incredulo e spiazzato, messo ogni giorno di fronte alla follia patologica del rapporto perverso e “congeniato” dai due protagonisti. Welsh sceglie alla fine di levarsi la vita. Il suicidio di un prete “incapace di difendere Dio”, un Dio che sembra “non avere alcune autorità in questo sperduto paese d’Irlanda”, un autogol per l’intera Chiesa Cattolica nonché l’ultimo ed estremo tentativo di salvare le anime corrotte dei due fratelli. La lettera/testamento di Welsh chiede proprio di provare a dialogare, di stilare “una lista dei torti subiti e di ciò che più provoca rabbia e rancore”. Un messaggio diretto ai protagonisti ma che di fatto giungerà ad accarezzare la sensibilità di Ragazzina (Nicole Murgia), il quarto personaggio della storia, il più enigmatico, forse l’unico che alla fine potrà veramente “salvarsi”. Tra petulanza, rancore, rabbia, umiliazioni e vendette, si declina la diegesi di una storia ben costruita. Una narrazione che offre ampio spazio alle capacità interpretative e performative degli attori coinvolti che di fatto superano la prova. “La gente a teatro vuole piangere” affermava Carmelo Bene in una delle sue ultime interviste. E anche se le lacrime non sono arrivate di certo la stagione di prosa del Rendano si è aperta fra forti emozioni.
Santino Cundari
Calabria Ora, 05-04-2012

 


Santamaria e Nigro irresistibili al Nuovo

Provincia irlandese con rissoso panorama familiare in scena al teatro Nuovo. Rancori non sopiti, scontrose amicizie, sussulti dei sensi, illusioni d’ impossibile serenità. Fratelli in opposte giornate nel gioco incattivito di Claudio Santamaria e Filippo Nigro per ‘Occidente solitario’ di Martin McDonagh che Luca Scarlini traduce in eccessi aggressivi. La regia di Juan Diego Puerta Lopez è abile costruzione, tragico e ironico percorso d’ irresistibile tensione. Quasi un giallo, da godere, per le eccellenti prove generose di questi due attori in eccessi di complicità, provocazioni mozzafiato, giochi di sentimenti sconfitti. Con loro Nicole Murgia e Massimo De Santis costruiscono il cupo territorio malandato.
Giulio Baffi
la Repubblica ed. Napoli 29-03-2012

 


Commedia noir tutta da ridere

Eh, sì, lo diceva Samuel Beckett: non c’è niente di più comico dell’infelicità. Questo spiega come mai, assistendo ai due atti di Occidente Solitario di Martin McDonagh, si ride tanto. Più la situazione è catastrofica – e in questo caso aggiungerei grottesca – più ti vien voglia di sorridere, anche se la risata è davvero molto molto amara. Ma non si tratta solo di questo. Perché la commedia qui tradotta da Luca Scarlini e messa in scena da Juan Diego Puerta Lopez è proprio un bel testo. Ben scritto e nel nostro caso ottimamente interpretato da Claudio Santamaria (che si prende la sua rivincita su La notte poco prima della foresta Bernard-Marie Koltès diretto dallo stesso Lopez, che un paio di anni fa non aveva del tutto convinto il pubblico dei teatri) e Filippo Nigro (una gran bella sorpresa, considerando che da anni e anni non faceva teatro). Sono loro i protagonisti di questa pièce dalle tinte noir: due fratelli uno più folle dell’altro, Coleman (Santamaria) e Valene (Nigro), hanno appena perso il padre, morto con un colpo di fucile, e passano le loro giornate in casa. Uno si ingozza di patatine e di alcol che ruba di nascosto al fratello, l’altro colleziona ossessivamente statuine sacre. E nel frattempo litigano, si prendono a parolacce, tentano di ammazzarsi. Un giorno padre Welsh (Massimo De Santis non potrebbe essere più a suo agio) depresso a causa di tanto odio fra i due decide di suicidarsi ma prima di farlo scrive una lettera ai due in cui avvisa che solo il loro comportamento avrebbe salvato la sua anima. Ma del suo sacrificio sembra importare solo ad una Ragazzina (Nicole Murgia), che in riva al lago aveva confessato il suo amore al prete. Per il resto a nulla servono i vari tentativi di aggiustare una situazione ormai irreparabile. Una commedia nera rumorosa, devastante, avvincente (spettacolo andato in scena al Teatro Ambra Jovinelli di Roma e ora in tournèe).
Francesca De Sanctis
l’Unità, 29-03-2012

 


I come e i perché della solitudine

Siamo in un piccolo villaggio irlandese, ma Martin McDonagh, 42enne regista e commediografo inglese, potrebbe aver ambientato Occidente Solitario in una qualsiasi waste land del mondo contemporaneo. Due fratelli, Coleman e Valene, vivono in rissa perenne. Il primo si è fatto sacerdote della propria amoralità e condisce giorno per giorno di violenza e turpiloquio; il secondo colleziona statuine della Vergine Maria, di ogni dimensione e materiale, e trova compimento dell’esistere dando sfogo a due brame: l’accumulo e la tirchieria. Tra i litiganti c’è una lama di umanità sconquassata, il prete del paese, che sublima nel whisky la frustrazione di essere un ministro di Dio costantemente irriso e disatteso. E poi Ragazzina, adolescente che vende alcol di contrabbando e finge d’essere disinibita difendendo la capacità di amare con purezza. Gran bel testo. Beckettiano, lucido, esagerato, pieno di truce poesia. Che disegna come un disagio cronico la solitudine contemporanea e ne spiega, al di là di ogni didascalia, i come e i perché. Juan Diego Puerta Lopez lo ha messo in scena assai bene, seccamente (la traduzione è di Luca Scarlini), per un cast che comprende Claudio Santamaria, Filippo Nigro, Nicole Murgia e Massimo De Santis. Efficaci gli attori, ai quali un solo appunto si può fare: non sanno dire le parolacce, di cui pure è farcito il copione. Il turpiloquio esige naturalezza, occorrerebbe quasi trasformarlo in fonemi e inserirlo così, a buttar via, nelle battute. Splendente l’interpretazione femminile: Murgia tenera, credibile, vera. Nella scena che precede il suicidio del prete, niente di troppo, ma la vibrazione costante, fragile e ferrea di chi è salvo ancora per poco. Scene di Bruno Buonincontri, costumi di Caterina Nardi. Musiche originali di Riccardo Bertini. All’Ambra Jovinelli di Roma fino a domenica.
Rita Sala
Il Messaggero, 22-03-2012

 


Due fratelli, assassini senza causa in una gara di pentimento

Può essere stravagante un mondo sgradevole? Può divertire la violenza senza motivazioni? Può apparire gustosa una sit-com disperata? Risponde in parte a questa domande Occidente Solitario di Martin McDonagh (classe 1970) che conclude una trilogia irlandese (avviata da noi da Valerio Binasco con La bella regina di Leenane), e che vede Claudio Santamaria contrapporsi a Filippo Nigro nella lizza di due fratelli aggressivi e maniacali. Santamaria ha ucciso per niente il padre, e mal sopporta i ricatti dell’altro, gli brucia certe statuette votive, gli ruba alimenti e whisky. Fin qui c’è una maniera scurrile da “mondo prima della moralità”, e basta. Poi un prete s’ammazza e dedica la sua anima a loro. Cambio di registro. In omaggio al morto, i due si sfidano in un crescendo di pentimenti relativi a orrori nascosti, in una gara buonista da voltastomaco. Che acquista senso, e che, malgrado la regia di Juan Diego Puerta Lopez sia un western senza i Fratelli Coen, rende ben sballati e spiazzanti Santamaria e il suo partner.
Rodolfo Di Giammarco
la Repubblica, 18-03-2012

 


Fratelli contro in salsa «irish»

Occidente solitario è una bella sorpresa, a maggior ragione se lo si confronta con uno spettacolo analogo, recensito la scorsa settimana: gli atti unici di Caryl Churchill e Mark Ravenhill messi in scena da Carlo Cecchi. Tanto pretenziosi e vacui i due autori più noti, quanto immediato e semplice il finora sconosciuto Martin McDonagh. Non intendo sostenere che la cosiddetta immediatezza e la quasi indefinibile semplicità siano dei valori in sé, come un’ opinione crescente vuole far credere: è che vi sono sofisticazioni fasulle e semplicità schiette, che toccano lo spettatore. McDonagh peraltro è inglese come Churchill e Ravenhill, ma i genitori sono irlandesi e l’ Irlanda, la sua cultura, il suo stile costituiscono una consistente eredità. In Occidente solitario , benissimo tradotto da Luca Scarlini e allestito dal regista colombiano Juan Diego Puerta Lopez, protagonisti sono i due fratelli Connor: Coleman (Claudio Santamaria) e Valene (Filippo Nigro, un attore che viene dalla televisione come gli altri due, la giovanissima Nicole Murgia e Massimo De Santis). Il padre di Coleman e Valene è morto da poco, ucciso non si sa quanto per sbaglio dal maggiore dei due Connor. Tra loro la disputa è continua. Coleman è il più carogna, il provocatore è lui, è lui ad aver sparato al padre, è lui ad aver tagliato le orecchie al cane di Valene quando erano piccoli, sarà lui a gettare le statuine della Madonna e dei santi nel forno nuovo di zecca del fratello minore. Oltre al whisky che gli procura Mary, per tutto il tempo chiamata Ragazzina, quelle statuine erano, e continuano a essere, l’ unica passione di Valene. Padre Welsh, o Walsh, come mai ci si decide a dire, è un altro tipico personaggio irlandese. In Occidente solitario tutto è comune, tutto è quasi luogo comune. Poi, poco a poco, acquista spessore, risonanza, verità. Il nostro prete è, anche lui, piuttosto disastrato: nella storia della letteratura, personaggi che gli somigliano ne abbiamo conosciuti tanti. Ma nel dialogo con Mary, in riva al lago nel quale è volontariamente annegato Thomas Hanlon (un fatto che ha lasciato indifferenti i due fratelli), in quel dialogo padre Welsh, con i suoi dubbi, il suo malessere, la sua incertezza su di sé, provoca il primo punto di commozione del dramma: bellissima è la scena in cui egli poi si spoglia dei suoi abiti e si erge ritto in piedi, pronto a seguire l’ altro suicida. Però, Padre Welsh aveva appena scritto una lettera ai due fratelli: li aveva ammoniti che se il loro dissidio fosse continuato, esso avrebbe avuto ripercussioni sulla sua anima. Altro momento magistrale è l’ inizio della scena successiva, quando Coleman e Valene tornano dal funerale. Sembrano davvero redenti: miti, arresi a una volontà superiore, disposti a deporre le armi (anche reali, uno ha un coltello, l’ altro un fucile). Ora ci sono nuove statuine e ciascuno dei due è pronto a confessare all’ altro i propri misfatti e a pentirsene. Le battute iniziali sono francamente e mirabilmente comiche. Irlanda allo stato puro (come tutto il resto). E ancora Irlanda sono il prosieguo e il finale. Né Coleman né Valene riescono a contenersi, prima o poi (lo supponevamo) avrebbero ricominciato. Lassù, lontani dagli inglesi, se non si fa la guerra agli inglesi, la si fa in famiglia. A Coleman, Santamaria dà un tono sornione e malandrino; a Valene, Nigro ne dà uno di ebetudine, da ubriaco leggero ma cronico. Comunque, entrambi in pari misura ci conquistano e, con Mary e con Padre Welsh, ci strappano dalla nostra ignavia di spettatori.
Franco Cordelli
Corriere della Sera, 18-03-2012

 


Al Teatro dell’Aquila Claudio Santamaria e Filippo Nigro raccontano il loro “Occidente solitario”

FERMO – “Odio dunque sono”: sembra questo il motto con cui poter riassumere lo spettacolo Occidente solitario, della Compagnia degli Ipocriti, scritto da Martin Mcdonagh, per la regia di Juan Diego Puerta Lopez, che il 13 e 14 marzo scorsi ha avuto luogo nella suggestiva cornice del Teatro dell’Aquila.
Commedia provocatoria, questa, a tratti scomoda, che ha determinato nel pubblico reazioni discordanti: c’è chi, annoiato, all’intervallo ha lasciato il teatro, chi ha parlato di “fastidio” per il turpiloquio ed espressioni offensive, perché, dopo una giornata di lavoro, ci si aspetta solo di rilassarsi; chi invece l’ha trovata geniale per la fotografia esatta che, con vivace sarcasmo e senza l’ambizione di una morale salvifica, restituisce del nostro tempo.
Siamo in un paesino della cattolica Irlanda, l’indifferenza e l’aggressività regnano sovrane, tra litigi, delitti e suicidi di un mondo alla rovescia. La scena si gioca quasi interamente all’interno di una stanza decadente e rarefatta, in cui abitano e con violenza si scontrano, per i motivi più futili, due fratelli, Valene – un brillante Filippo Nigro – e Coleman, interpretato con grande maestria da Claudio Santamaria.
Valene, simbolo del materialismo della nostra epoca, marca con l’iniziale del proprio nome tutti gli oggetti in casa, per sottolineare al fratello le sue proprietà, quasi che “la roba” sia una prova concreta della sua esistenza. Colleziona statuine religiose: ne arriva ad avere ben 38 e, da buon idolatra, è convinto che l’alto numero gli assicurerà l’ingresso in Paradiso. È un ragazzotto ingenuo, che ricorda vagamente il Forrest Gump di Tom Hanks, eppure, rispetto a quello, è diffidente oltremodo e vendicativo.
Santamaria, alias Coleman, veste invece i panni del fratello più furbo, più consapevole e per questo più crudele. Estremamente cinico verso le donne e l’universo intero, ha addirittura ucciso il padre con un colpo di fucile per un nonnulla, ma subito parlerà di incidente e i sensi di colpa saranno presto un lontano ricordo. È uno scroccone di vol-au-vent ai funerali altrui e ruba dalla dispensa di Valene patatine e whisky.
Unica figura femminile è la Ragazzina (Nicole Murgia), che vende a domicilio whisky di contrabbando. Una piccola Lolita, maliziosa e ingenua, all’apparenza superficiale, ma che pian piano rivelerà la purezza di un animo non del tutto corrotto dalla società contemporanea. La giovane spesso conforta il parroco del paese, Padre Welsh (Massimo De Santis), altro personaggio chiave, uomo debole e alcolizzato, dalla fede in crisi e che nessuno ascolta. Il prelato invano tenta di riconciliare i due fratelli e alla fine, afflitto per una comunità che non lo segue, si suicida nel lago, in una delle scene più suggestive dell’intero spettacolo. L’immagine della Chiesa ne esce alquanto dissacrata: “Non sei un prete così malvagio, non abusi neanche di minorenni!”; “Se uccidi 10 persone e ti penti, vai in Paradiso, ma se uccidi te stesso, vai all’Inferno”, sono solo alcune delle battute che i personaggi riservano alla religione. Anche il rito del pentimento e del perdono si svuota di significato nella scena culmine di Occidente solitario: i due fratelli, in memoria del prete scomparso, iniziano a confessarsi i reciproci dispetti del passato, facendo “un passo indietro” e ammettendo il proprio”mi dispiace”. Ben presto, però, questo si rivelerà solo un gioco meccanico e vuoto, privo di reali sentimenti. Così, la sfida tra i due si riaccenderà, lasciando lo spettatore incerto, senza elementi sufficienti per intuire se è mai possibile riscattarsi da un Occidente che ha abbrutito l’uomo, privandolo del suo bene più prezioso: una coscienza critica con cui soppesare gli eventi che lo circondano.
Angelica Bellabarba
www.ilsegnale.it,15-03-2012