Questi fantasmi! – curiosità
Eduardo racconta un avvenimento che gli ispirò questa commedia: ”C’era un vecchio con la barba che veniva a casa quando ci trovavamo tra amici. Raccontava di essere uno specialista di sedute spiritiche. Per convincermi mi diceva che spesso, tornando a casa sua, trovava un tipo che usciva e lo salutava.
Diceva di essere un fantasma. Io gli chiesi: ‘Lei è sposato? E sua moglie non dice nulla? Non se ne accorge, mi rispose, non lo vede. Così nacque Questi fantasmi!”
(Corriere della Sera, 17 gennaio 1983)
Il 7 gennaio del 1946 Questi fantasmi! viene rappresentata per la prima volta al Teatro Eliseo di Roma dalla compagnia “Il teatro di Eduardo con Titina De Filippo” è subito successo, applaudito dal pubblico e dalla critica, sarà la commedia con cui Eduardo esordisce come regista all’estero.
Ancora Eduardo: “ … ho dichiarato sempre che si tratta di una tragedia moderna perché c’è la capitolazione di tutti i sentimenti la distruzione di tutti i poteri morali di questa nostra, tra virgolette, civiltà. Insomma, è il momento di sbandamento del dopoguerra che ha rivoluzionato poi tutto. I fantasmi, chi sono ? Sono quelli che vivono questa nostra vita, sono i fantasmi del passato che vengono agli occhi alterati di Pasquale Lojacono e che sembrano fantasmi. Infatti quale è la sua battuta alla fine del secondo atto, quando si affaccia al balcone e parla con il professore? “ Niente professore… non è niente . Tutto a posto, tutto tranquillo. I fantasmi non esistono; i fantasmi siamo noi.” Siamo noi che consolidiamo e portiamo avanti a passo lentissimo le leggi più anacronistiche e più distruttive della terra. Questo è il significato dei Fantasmi “
(lezioni di teatro a cura P. Quarenghi, pp 68-69)
Orio Vergani
Pasquale Lojacono è un puro di cuore. È povero e vive di speranze. Di speranze, probabilmente, ha sempre vissuto, come tanta gente eguale a lui, a Napoli, e nel mondo. Le ha provate tutte e non glie ne è andata dritta nemmeno una. Non sappiamo chi sia, che mestiere faccia, da dove venga. Non sale dalla Napoli dei «bassi»: vegeta pallido in quella piccola borghesia napoletana, che è forse più antica dell’ottocentesca piccola borghesia francese. Potete trovarlo in qualche canzone, in molte commedie dialettali, in certe pagine della Serao: ha una sua dignità, un suo orgoglio, anche se sa ormai che deve vivere di mezzucci, di piccolissimi espedienti di castelli in aria. È dignitoso come è dignitoso un altro figlio delle metropoli moderne (non dimentichiamo che Napoli fu una delle prime città del mondo, due o tre secoli fa, ad avere il carattere sociale disperato ed altero delle metropoli),
come è dignitoso Charlot, quando si aggira puro e candido per i bassifondi di New York. Quando crede di aver trovato il modo di dare una sistemazione alla sua vita – e a quella della donna che ama, e che lo ha amato ma che non l’ama più – Pasquale Lojacono impegna la sua dignità e il suo onore a mantenere i suoi impegni. Alle sue spalle c’è il grigio panorama della miseria di Napoli e di tutto il mondo: nel suo cuore il panorama tormentoso dell’amore ormai non più corrisposto.[…]
[…] Povero, con una pentola d’alluminio in mano e sotto il braccio una gallina che muore nel momento stesso in cui si mette piede nella tetra dimora degli spiriti, Pasquale Lojacono, che ha più paura di tutti, si appresta a combattere la sua battaglia, e lo vediamo subito al lavoro, in uno stanzone che a destra e a sinistra, tra due balconi affacciati sulla strada e sulla platea, e da cui, ogni tanto, dovrà dare al vicinato le prove del suo viver pacifico.[…]
[…]Eduardo De Filippo è partito di qui, con la pentola e la gallina morta di Pasquale Lojacono. Egli che non deve credere ai fantasmi, è invece quello che ci crede di più. Crede, addirittura, che l’amante della moglie sia uno spirito benigno; che lo soccorre, in questi miseri tempi di svalutazione, con provvide offerte di biglietti da mille, crede che la famiglia dell’amante della moglie sia un’apparizione di trapassati e al terzo atto, addirittura, quando l’amante, che era momentaneamente scomparso lasciandolo di nuovo in miseria riappare – ma questa volta con l’intenzione di portarsi via la donna di cui non può fare a meno -, crede che si tratti di una nuova incarnazione dello spirito buono che l’aveva momentaneamente abbandonato, lo supplica di aiutarlo ancora, si butta in ginocchio davanti a lui come davanti al proprio angelo custode, gli confida la sua disperata pena di uomo che non vuol perdere, solamente perché è povero, la donna che è la sua vita e ottiene che l’amante fantasma, se ne vada intenerito lasciandogli la donna e, per giunta un bel pacco di bigliettoni da mille .
Tutti, per tre atti, lo credono un farabutto: lo credono tale la moglie, l’amante, il cognato dell’amante. Pasquale Lojacono è invece solamente un cuore puro, un angelo che crede ai demoni, e che li vince con la sua tragica innocenza.
Molte cose si diranno di questa commedia, dovuta all’uomo che appare oggi, il più alto se pur desolato spirito del nostro teatro. Il primo atto parte con una cadenza dialettale, tocca verso la metà, con la creazione del personaggio invisibile del professor Sant’Anna – un professore privato che abita nella casa di fronte – un tono tra il buffonesco ed elegiaco quale raramente si trova nel teatro di oggi, ha nel secondo atto un crescendo che ha il timbro del capolavoro di una devastata comicità, di un farsesco da terremoto, di una ilarità piena di lagrime e di ossa come una danza macabra; nel terzo atto segna appena verso il finale, quando si accenna alla fatalità per la quale sparito il primo amante-fantasma, un altro fantasma innamorato potrà forse sorgere a sostituirlo, qualche cedimento, perché la commedia si avvia sulle sabbie mobili, di una amarezza inevitabile sì, ma che dovrebbe giungere alla catastrofe comica che chiude il secondo. È certamente una commedia inconfrontabile come tutte o quasi, quelle italiane che abbiamo ascoltato in questi ultimi anni, e vi batte ogni tanto l’ala di un genio demoniaco e struggente. Parole che siamo felici di spendere.
[…] Si parlerà di tradizione della grande commedia dell’arte, del teatro dei fantocci – la tradizione ha anche punti di partenza consimili anche nel teatro dei burattini – e di teatro surrealista, come, con un aggettivo facile,ho sentito dire ieri sera.
[…] Uno spunto di maggior desolazione e di maggior apparente nichilismo non poteva essere sostenuto sui piani di una comicità sbiancata dal terrore e arroventata dal fuoco di una disperata innocenza con un ingranaggio più abile di battute, e con una più antica ricchezza di istinto scenico. […]
Dal testo:
“Per la vicenda che mi accingo a narrare, la disposizione scenica d’obbligo è la seguente: ai due lati del boccascena tra il proscenio e l’inizio delle due pareti, formando l’angolo per la prospettiva del pubblico, fanno corpo a sé due balconi che,si immagina fanno
parte dell’intera distesa del piano(…)” (did., I,p.135)
Il drammaturgo vuole aprire le quattro pareti della scena in interno, prolungando la distesa del piano mediante i due balconi obliqui, al di là dei quali staranno gli spettatori. Anche perché “nella parte” dell’invisibile Professor Santanna, con il quale il protagonista borghese e il suo contrastante doppio popolare (il portiere Raffaele) parlano dai balconi “sonno appunto gli spettatori, ossia l’occhio del mondo delegato ad un dirimpettaio”. (…)L’allocuzione al pubblico dell’attore – personaggio passata dalla Commedia dell’Arte nella tradizione dello spettacolo dialettale napoletano (e non solo napoletano), diventa una nuova formula di teatro – nel- teatro, che risucchia lo spettatore tra i personaggi…..
“Non è vero niente, professo’ (…) i fantasmi non esistono,li abbiamo creati noi, siamo noi i fantasmi…Ah…ah…ah… (mentre il temporale continua e quelli che litigano, nell’interno della camera, sempre gridando giungono sul limitare dell’uscio(…)…, per mostrarsi sempre più disinvolto canta) Ah…l’ammore che fa fa’…”(II,.p.137)
(…) Nel mondo reale non c’è posto per il meraviglioso, come quella giacca da casa attaccata all’appendiabiti, dalla cui tasca vengono fuori biglietti da mille! Perciò alla fine dello stesso atto – dopo che lo spettacolo fantastico dei sei personaggi lo avrà sconvolto al punto da cercare scampo fuori da uno dei balconi – Pasquale insisterà a nascondere la propria agitazione di fronte al Professore, denunciando tuttavia l’unica” verità” possibile..
(….) Professo’, professo’, avevate ragione voi … I fantasmi esistono (…) Ci ho parlato… Mi ha lasciato una somma di denaro…(Mostra i biglietti) Guardate …Però dice che ho sciolto la sua condanna, che non comparirà mai più…(Ascolta) Come?… Sotto altre sembianze? È probabile…
E speriamo…(III,p.182)
È il monologo dialogo più inquietante: la sua interpretazione può determinare il senso dell’opera. Eduardo attore per ristabilire la situazione di ambiguità della commedia non usava il codice fonico ma quello gestuale. Ovvero pronunciava la battuta “E speriamo…” con innocenza, ma contemporaneamente esibiva e contava freneticamente il pacco di bigliettoni! Prevale dunque, in Questi fantasmi!, il rapporto del protagonista con il trasparente Professor Santanna, l’unico personaggio che lo ascolterà fino in fondo. Il drammaturgo ricorre alla tecnica del finto dialogo in modo che lo spettatore rappresentato diventi ponte con lo spettatore reale. D’ altra parte il rapporto eduardiano con il pubblico è sempre meta-teatrale: lo spettatore è insieme confidente ed antagonista. Anche quell’armonioso dialogo che l’autore inventa per il suo protagonista – nel monologo d’apertura del II atto – è una partita truccata. Pasquale cerca di imbrogliare il suo dirimpettaio: ”in questa casa, posso garantirvi che regna la vera tranquillità (…) fantasmi, come fantasmi è proprio il caso di dire: neanche l’ombra! “(II,pp.153-54) Invece qualche “ombra” continua ad offuscare il suo ottimistico orizzonte(…), alla Pensione Lojacono non s’è ancora presentatao un “cane”…(…)
IL GIORNALE – Napoli, 20giugno 1946
Dal suo balcone Pasquale conversa con il professore che abita proprio di fronte e che anche lui ama prendere il fresco e scambiare quattro chiacchiere coi vicini.
Dei due interlocutori, noi dalla platea vediamo e udiamo soltanto il primo
L’ altro è un personaggio immaginario, e immaginario è il balcone dal quale conversa con Pasquale. E, per questo, ciò che dice lo intendiamo dalle risposte, dai sorrisi ora annuenti ora interroganti, dai furbeschi ammiccamenti, dalle argute mezze parole del personaggio “visibile” .
Da questo procedimento ingegnoso e dilettoso che ricorda alla lontana quello de “La voix humaine di Jean Cocteau”, trae i suoi primi effetti di sonora comicità.(…)
…Dopo quel primo pseudo–fantasma eccone degli altri(….) Tutti piagnucolano protestano, reclamano strepitano, inveiscono. E sono per il frastornato Pasquale, spettri non creature vive(….)
….L’equivoco scoppia in una girandola di invenzioni comiche sempre più vertiginosa e trascolorante. Con l’impeto di una fantasia che sa rendere dinamica anche la materia comica più vecchia e stanca. Eduardo De Filippo porta questo episodio al vertice di una comicità tonante e trascinante, attraverso una sinfonia di gridi, di pause, di furori, di sussulti, di risate, di lacrime, di abbandoni, di slanci, che reca il segno di una schietta genuinità di invenzione.
…. Al terzo atto il tono e la temperatura sono ben altri. Dalla pirotecnica vorticosità dei due atti precedenti, qui la commedia scende sommessa a un clima di mortificata umanità….
Achille Vesce