Servo per due – scene e costumi

Le atmosfere rarefatte e piene di nebbia di una Rimini anni ’30, in cui “non tutto è come ci appare”, sono state la chiave che i due registi mi hanno suggerito per realizzare questa comica visione della realtà.
Così palazzi sproporzionati in una Rimini monocolore fanno da fondale a personaggi con caratterizzazioni vivaci, che ricordano cartoline in bianco e nero fotoritoccate.
Stessa leggerezza e voluta semplicità ci accompagnano nelle scene degli interni dove basta un solo particolare a raccontarci l’ambiente e l’epoca, senza entrare in una eccessiva caratterizzazione. La scena quindi è volutamente finta, disegnata, come il drappeggio del sipario che ci permette di passare da un ambiente all’altro.
E così altri particolari scenici si legano ironicamente alle battute degli attori, raccontando un pezzo di storia del nostro paese.

Luigi Ferrigno


Il cinema di Fellini, soprattutto Amarcord ovviamente, ma anche quello di Vittorio De Sica attore giovane, nei film con Assia Noris e Maria Denis, tutto il cinema italiano degli anni ’30 e ’40, sono tra i riferimenti ai quali abbiamo attinto per creare i costumi dello spettacolo.
Ma anche a molti illustratori italiani, e non solo, degli anni ’30 e ’40, per arrivare a sintetizzare e riassumere un gusto e un’idea grafica che si riflettesse sulla creazione dei personaggi, ciascuno definito già dal costume sia nella linea che nella scelta cromatica. Il lavoro preparatorio con gli attori e le attrici è stato fondamentale!
I colori scelti, vivaci e sgargianti sono quelli dei primi film “colorati” e sono volutamente polverosi rispetto alla scenografia contro cui si stagliano. Ciascun personaggio è concepito e disegnato quasi come un fumetto e in questo modo, idealmente, si lega al modello delle maschere della Commedia dell’Arte, presenti nel testo originario di Goldoni dal quale, tutti, siamo partiti. I dettagli sono stati fondamentali, e in questo senso la cura per le acconciature e il disegno delle teste, ha ritrovato me e i registi assolutamente in sintonia nel voler “vedere” anche a teatro dettagli da primo piano cinematografico.
Senza dimenticare, in certi particolari della lavorazione, una voluta semplicità, poetica e malinconica, tipica degli anni ’30 pre-bellici.

Alessandro Lai