Pulcinella

di Manlio Santanelli

“Oh, quanta stelle, ca stanno ‘ncielo… E dov’è la luna?… Ah, l’aggio intesa… se ne sarà iuta a corcare co’ lo sole… e se gaudeno amorosamente… Oh, ca me potesse pigliare una de chelli stelle pe’ me la mettere a ‘sto cappiello… Quante ponno essere?… Non le pozzo contare… Se ne porria anchire ‘no sacco!…”

da un soggetto cinematografico di Roberto Rossellini

scene Roberto Francia
costumi Emanuele Luzzati
musicheGiancarlo Chiaramello, Mauro Di Domenico
coreografie Mariano Brancaccio
luci Gigi Ascione
regia Maurizio Scaparro

con Massimo Ranieri
Anna Walter, Fernando Pannullo, Lino Mattera, Nicola Di Pinto, Gegia Antonaci, Stefania Di Nardo, Mario Aterrano, Giuliano Manetti, Frida Bruno, Luca Saccoia, Francesco Bottai, Tino Granata, Stefano Calenzo
i musici
Mauro Di Domenico, Mimmo Maglionico, Massimo Cusato, Cristiano Califano 

I viaggi di Pulcinella

Pulcinella, uno degli spettacoli più prestigiosi di Maurizio Scaparro, tratto da un inedito soggetto cinematografico di Roberto Rossellini, scritto e adattato da Manlio Santanelli, racconta il viaggio, drammatico e comico ad un tempo, di una compagnia di attori italiani del XVII secolo, da Napoli a Roma, e poi da Roma a Parigi. Questo spettacolo che la critica ha salutato come un grande omaggio ai primi viaggi dei comici italiani, è anche una metafora della condizione dell’attore, dello scienziato, del poeta o di tanta gente, nota o meno, che nel corso degli anni, è stata spinta dal bisogno o dalla sete di conoscenza, verso un luogo sognato, diverso.

 

Note dell'autore

Il mio primo ricordo teatrale è saldamente ancorato alla maschera di Pulcinella: sono nel Politeama di Napoli dove si esibisce Salvatore De Muto, l’ultimo rappresentante – questo lo avrei appreso molto tardi – di una ideale famiglia di Pulcinelli che, attraverso i mitici nomi di Petito, Fracanzani e Calcese, risale il corso del tempo fino alla seconda metà del Cinquecento. Di quella farsa, o commedia che fosse, ora saprei dire ben poco. Ma una scena fra tutte è rimasta impigliata nelle maglie della mia memoria. Pulcinella serve il pranzo al padrone, e da quel pasticcione che è ha dimenticato la saliera. Il padrone, accigliato, lo redarguisce severamente: “Pulcinella, sale in tavola!” E Pulcinella con un guizzo monta in piedi sulla mensa apparecchiata, fra gli anatemi del padrone e l’ovazione del pubblico.
Ebbene, se ho accettato con entusiasmo la proposta fattami da Maurizio Scaparro di scrivere un testo teatrale ispirato a preziosi materiali lasciati da Roberto Rossellini, lo devo anche a quel lontano ricordo, che mi permette di considerare Pulcinella come una vecchia, vecchissima conoscenza.
Ma, in principio, più che di una proposta per me si è trattato di una vera e propria sfida. Come potevo da napoletano, concedermi il lusso di ignorare la realtà attuale della mia città con tutto il dolente carico di problemi che essa si porta dietro, e vivere in maniera incolpevole la fuga nel passato che l’argomento dello spettacolo pure imponeva?
Si dà al caso, però, che anche il passato remoto di Napoli non sia più confortante del suo presente.
Si, pare proprio di poter escludere per questa bersagliata città la cosiddetta età dell’oro. Su tale giudizio io e Scaparro ci siamo trovati d’accordo fin dal primo istante.
E allora quella fuga nel passato ha cambiato decisamente segno e si è andata configurando sempre più chiaramente come un’occasione propizia per meditare, senza per questo perdere di vista il divertimento di senso lato – sopra uno dei tanti complessi periodi della storia di Napoli; una storia che sembra ripetersi secondo moduli ossessivi, come i gesti reiterati all’infinito e senza luce di ragione con cui si manifestano certi casi incurabili di follia.
Ne sortisce che le vicende comicotragiche di Pulcinella – o meglio di quel commediante del Seicento che, per recitare più degnamente la parte di Pulcinella, sceglie di espatriare, ma poi si avvede che non esiste luogo degno di quella recita se non nella sua mente – possono agevolmente venire intese come un rimando, neanche troppo nascosto, ad una condizione umana ahimé sempre uguale, e forse non necessariamente circoscritta a Napoli e dintorni, e… E per pudore mi fermo qui, un istante prima di cadere nella tentazione di far uso della parola “metafora”.
Manlio Santanelli

Note di regia

All’inizio era una tentazione quella di poter ricordare Roberto Rossellini, un grande uomo di cultura romano, italiano, europeo, al quale dobbiamo tutti molto.
Leggendo la sua sceneggiatura cinematografica, che ha intuizioni profonde e immagini di grande suggestione (dal quale Manlio Santanelli è partito per la sua bella e autonoma scrittura), mi sono reso conto che senza cadere in tentazione con il cinema, potevo cogliere l’occasione di costruire un fatto teatrale.
Del resto Rossellini aveva voluto compiere un atto d’amore per il teatro, per l’attore, per la maschera, scrivendo questo testo su Pulcinella e su Michelangelo Fracanzani (e un pò su sé stesso).
Quando fa dire a Fracanzani: “devo andarmene via, via da questa Babilonia infame” sente la necessità di ribadire ragioni che nei vari anni, nelle varie epoche, e nelle varie storie d’Italia hanno stimolato il viaggio. La fuga verso un luogo sognato “altro” che poi, spesso, torna ad essere quello da cui si parte.
Così è stato per Michelangelo Fracanzani, quando lascia Napoli per passare per Roma ed arrivare poi a Parigi; così è stato per tanti comici della Commedia dell’Arte che hanno fra l’altro contribuito a fare grande l’Europa.
Così, singolarmente, da un testo per il cinema, mi è nata la voglia di tentare un’operazione di teatro puro, senza contaminazioni di altri linguaggi, per parlare di teatro quindi, delle nostre illusioni e delle nostre speranze. Ho naturalmente pensato a Massimo Ranieri e credo sia l’unico grande attore italiano capace di trasmettere le emozioni, la malinconia, la rabbia e le speranze di una maschera come Pulcinella, di un popolo come quello napoletano e, in definitiva, di un uomo “Sud”.
Maurizio Scaparro

Rossellini e Pulcinella

Roberto Rossellini – Commediante dell’arte con la macchina da presa

Ci sono stati dei momenti nella vita di Rossellini (1906 – 1977) in cui Parigi ha voluto dire – come nella vicenda di Michelangelo Fracanzani, in arte Pullecenella Cetrulo, prima “maschera” napoletana della Corte di Francia – il miraggio di un italiano che in patria si sentiva decaduto, circondato dall’incomprensione. Se Fracanzani e i suoi amici arrivarono nella Parigi del ‘600 dopo aver lasciato “l’infame Babilonia partenopea” desiderosi di quel successo che non riuscivano a ottenere nella loro città, attratti da un Reame che notoriamente aveva a cuore i “comici”, Rossellini, sia pure in circostanze diverse fece lo stesso e vi si trasferì. “Ho sempre dovuto andar via, ho sempre dovuto ricominciare da principio”. Ma c’è dell’altro che accomuna Rossellini ai comici di un tempo: la commedia improvvisa che, come dice Bragaglia, “porta a cacciarsi nelle avventure più imprevedute, con libertà poetica assoluta, non impedendo però la rinuncia alla realtà, al buon senso e all’umanità terrena”. Un metodo di lavoro caro all’autore di Roma città aperta, tanto da farne una specie di “commediante dell’arte con la macchina da presa”.
Ettore Zocaro

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Lo spettacolo ha debuttato a Parigi nel mese di giugno 2000 ed ha proseguito con una tournée europea effettuando recite in Spagna (Barcellona, Almagro, Palma de Maiorca) e Germania (Expo di Hannover).
Nella stagione teatrale 2001.02 ha effettuato una tournée in Italia.

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