Una notte in Tunisia – note

Appunti notturni alla vigilia del primo giorno di prove. Appunti per una messa a fuoco.

Dare fisicità alla tensione che sento da mesi, da quando questo testo mi è arrivato tra le mani…

Creare lo spazio adatto per raccontare un corpo, quel corpo e con il suo isolamento trovarsi dentro la sua solitudine per arrivare a una dimensione altra… Un punto centrato fuori dal tempo in un presente che è già storia, un presente capace di guardare dentro al nostro presente… Una scena che respira, suoni che arrivano e si allontanano. Una intera opera creata dal giovane compositore Yuval a disposizione dello spettacolo…momenti inquietanti con voci che arrivano con il vento… Nessuna necessità di simulare la realtà. Creare le azioni con le didascalie. Cecchin veneto come l’autore che avrà la grazia, la puntualità, il modo di muoversi dentro e fuori dalla sua parte di Pietro Micci, è lui che impaginerà lo spettacolo, che muoverà la leggerezza della scena. Cecchin parla in terza persona ma quando serve a X esegue alcune azioni vere, reali – alcune sì, altre no…Lasciarsi andare alle suggestioni delle prove: alcune cose saranno giuste altre no… Immaginare il fratello che vola oltre al parapetto… no! Non si tratta di trovare in nessun modo di rendere l’azione credibile. Far dire la didascalia all’attore. E alla moglie l’intenzione nascosta di farlo cadere giù perché la moglie è l’amore per i figli, per la famiglia, è l’amore al di sopra di tutto, l’amore che non cede, che cerca di inventare soluzioni per riuscire a farlo tornare ad operarsi con i medici migliori e il sogno-incubo del marito di andare al proprio funerale forse, chissà? Le ha dato l’ultima pazza idea…

Già nella prima scena si dice “neanche da morto vuol tornare in Italia”. Si fa strada l’immagine di una bara. Non devo farmi tentare di impiegare immagini per rendere più facile, più comprensibile l’ascolto del testo. Lavorare dentro e intorno alle parole per muovere sentimenti e pensieri. Creare la giusta tensione e nel pubblico una grande attenzione del cuore e della mente. Un grande tavolo – il suo tavolo – che continui la linea obliqua della prima parete di garza che crea l’aeroporto (la linea obliqua mi è stata suggerita dall’autore che devo ricordarmi di ringraziare pubblicamente appena ne avrò l’occasione, anche per aver dedicato molte ore a leggere il testo con Alessandro Haber – attore scelto da lui – e che ha scelto me d’accordo con i Balsamo co-produttori di questo spettacolo veri amici di un tempo, di quel tempo, e anche di questo devo ringraziarlo perché sento che tra me e Alessandro sarà un incontro vero, importante). Il tavolo presente sin dall’inizio in trasparenza… La sua presenza si fa sentire anche con l’assenza. É la fisicità di Haber, la sua voracità, il suo talento, la sua energia compressa sempre pronta ad esplodere – così simile a quella di X – che renderà possibile dare fisicità a quella tensione che vorrei mettere in scena. Per contrasto, fare esistere il fratello con le sue contraddizioni, la sua paura di farsi ancora una volta coinvolgere, il suo gusto di discutere, di dibattere, di parlare, di leggere ad alta voce le parole scritte per vedere se un pensiero funziona… (tentazione di far leggere tutto il testo, di disseminare la scena di leggii ma no, solo X, solo lui dovrà leggere se stesso!).

Ed è anche per contrasto all’ossessivo bisogno di X di ragionare e alla sua disperazione di non sentirsi utilizzato e alla temperatura che creerà Haber sul palcoscenico che riuscirò a costruire il personaggio dell’unica donna in scena usando la voce dei sentimenti senza paura di perdere modernità. Una morte vicina e la passione della vita come malattia. Una ribellione che contiene una infinita dolcezza e che su di me è struggimento…una Tunisia arcaica ferma nel tempo, odori, profumi, vuoto “nel vuoto tutto si logora, si disgrega, si decomp..o..ne”, i cieli di Piero Guccione e vento e lontananza. L’intelligenza non utilizzata che ossessivamente cerca di riempire il vuoto, quel vuoto… Una prova d’amore. La forza che può avere il teatro nel chiederti di metterti in gioco fino in fondo, fino a fare tremare le corde in scena e farle ballare prima di sollevare una garza e con il gesto più semplice dar vita a una nuova scena, l’ultima dove giochi il tutto per tutto, nel corpo a corpo con un testo e l’avventura teatrale che comincia domani e lo so, l’emozione stanotte non mi lascerà dormire.

Prima del debutto milanese, ho definito il mio lavoro per questo spettacolo “messa a fuoco”. Si trattava infatti di mettere a fuoco i personaggi, i sentimenti, l’atmosfera, le parole dette, le parole scritte, e, soprattutto, un’idea di teatro. Oggi che lo spettacolo ha debuttato, che ha preso vita passando attraverso quella essenziale messa a fuoco, posso più semplicemente chiamare quello che ho fatto, regia.

Andrée Ruth Shammah