Viviani Varietà – autore

RAFFAELE VIVIANI

Nato a Castellammare di Stabia nel 1888 e cresciuto in ambiente teatrale (figlio di un “vestiarista” teatrale e gestore di piccoli locali), Raffaele Viviani debuttò sulla scena all’età di quattro anni e mezzo cantando in un teatrino di Pupi a Porta San Gennaro, a Napoli, per sostituire inaspettatamente il tenore e comico Gennaro Trengi.
A sei anni recitò in un dramma in prosa, Masaniello, nel primo Teatro Masaniello gestito dal padre e allo stesso tempo recitava e cantava in duetto con la sorella Luisella.
Nel 1900, morto il padre, cominciarono anni di lotta ininterrotta contro la fame e la miseria, in giro per compagnie di circo e piccoli teatri di periferia, fino alla scrittura (all’età di quattordici anni ed insieme alla sorella Luisella) come artista di Varietà nella Compagnia Bova e Camerlingo per una tournée in Alta Italia. A Napoli, nel 1904, fu scritturato dal Teatro Petrella, dove interpretò per la prima volta lo Scugnizzo, una macchietta scritta da Giovanni Capurro e musicata da Francesco Buongiovanni, che Viviani aveva ascoltato al Teatro Umberto I, interpretata da Peppino Villani. L’interpretazione offerta da Viviani fu straordinaria. Dopo di essa, una dopo l’altra, nacquero quelle sue caratteristiche figure di tipi partenopei (Il trovatore, ‘O mariunciello, Malavita, Il mendicante, ‘O tranviere, ‘O scupatore, ‘O cucchiere, Il professore, ‘O sunatore ‘e pianino), all’interno delle quali mise a punto uno stile personale in cui l’arte della deformazione e della caricatura era temperata da una vena di sentimentalismo e di realismo.
Nel 1906, all’Arena Olimpia, Viviani, esordì con la sua macchietta intitolata Fifì Rino, dando il via a quel marionettismo istrionico, ripreso in seguito da Nino Taranto giovane e soprattutto da Totò.
Per Viviani fu tuttavia la scrittura all’Eden a siglare la sua affermazione e la fine della sua miseria. All’Eden debuttò presentando sei melologhi di ispirazione realistica ed il debutto fu salutato dal pubblico in maniera straordinaria.
Nel febbraio del 1911, fu scritturato per il Fowarosi Orpheum di Budapest con l’impegno di rappresentarvi per un mese le sue macchiette. Al ritorno in Italia, fu scritturato dalla Sala Umberto di Roma ed ottenne un grande successo, al punto da contenderlo ad Ettore Petrolini. La tournée in Francia, non felicissima, ed i provvedimenti governativi successivi alla disfatta di Caporetto nel 1917 (la chiusura dei teatri di Varietà), lo spinsero a compiere il passaggio dal Varietà al teatro vero e proprio. Nacque in quest’occasione la sua Compagnia di prosa e musica, che debuttò al Teatro Umberto I di Napoli il 27 dicembre del 1917, con il suo primo lavoro, in versi, prosa e musica, Il vicolo, che rappresenta il primo tentativo di legare insieme più tipi, già sperimentati, dal suo repertorio. Accadde un fatto forse unico nella storia del teatro moderno: i “numeri” che egli componeva per le sue esibizioni nei teatri di Varietà divennero una cellula dalla quale crebbe un organismo teatrale autonomo e nuovo, che non si adeguava a nessun genere preesistente.
Gli anni dal 1918 al 1920 sono quelli della stagione creativa più fertile di Viviani; infatti, scrive e rappresenta con grande successo Tuledo ’e notte, ’Nterr’ ‘a Mmaculatella, Caffè di notte e giorno, Piazza Municipio, Eden Teatro. Dal ‘20 comincia a portare le sue opere in giro per l’Italia, mettendo in scena spettacoli che gli permisero di acquisire prestigio a livello nazionale e non solo: due tragedie, I pescatori e Zingari, ma anche commedie come Napoli in frac, La festa di Montevergine, Vetturini da nolo, La morte di Carnevale e Putiferio. Nel ‘29, Viviani e la sua compagnia partirono per una tournèe in America Latina, riscuotendo notevoli approvazioni da pubblico e critica. Ritornato in Italia, Viviani conquista definitivamente le platee nazionali con commedie come L’ultimo scugnizzo e Guappo ‘e cartone.
Dal ‘36 in poi Viviani fu pesantemente ostacolato dalla politica linguistica del regime fascista, che voleva l’eliminazione delle lingue straniere (e dei dialetti) dal parlato e dai luoghi pubblici, a favore della lingua italiana. Fu così costretto a lavorare come interprete di opere altrui.
Gli ultimi dieci anni della sua vita furono segnati dal crescente avanzare della sua malattia, che ne limitò progressivamente l’attività e la produzione. Morì a Napoli il 22 marzo del 1950.