L’Idiota

di F. M. Dostoevskij

…Ora, invece, come posso essere idiota, se capisco che gli altri mi credono tale?

riduzione teatrale Angelo Dallagiacoma
scene e costumi Bruno Buonincontri
luci Cesare Accetta
musiche Fabrizio Romano
regia Gigi Dall’Aglio

con
Giulio Scarpati
Leda Negroni, Piero Sammataro, Mascia Musy, David Sebasti, Frida Bruno
Giancarlo Cosentino, Mario Salomone, Luca Della Bianca, Teresa Ronchi
Patrizia Bracaglia, Stefano Cenci, Chiara Baffi

al pianoforte Andrea Bianchi

 

Primo debutto al Teatro Comunale di Gubbio il 10 marzo 1999

 

Note di regia

sforzarsi di assorbire su di sé le ansie, le angosce, i turbamenti e le colpe degli altri per potersi dare tutto a tutti.
scoprire che il mondo, ridotto (sia metaforicamente che nella pratica reale) alle poche persone della ristretta cerchia sociale che si frequenta, si difende da queste spinte all’annullamento di sé negli altri, attraverso le sue riserve sociali pena la sua stessa morte…
somatizzare tragicamente questa scoperta in modo umano (mancando la risposta, ma non il tormento dell'”imitazione” divina)…
Il desiderio di esprimere questi sentimenti raccontando è il primo impulso che può essere sentito in due momenti specifici dell’esistenza; il primo quello autogenetico, nella fase trepidante dell’adolescenza, il secondo, quello filogenetico, in tutte le situazioni storiche dominate dall’incertezza, dall’insicurezza e quindi dall’egoismo, dalla violenza, dalla paura, dalla ribellione solipsista, in una parola dal caos e quindi dal rifugio nell’omologazione di massa, cioè: oggi.
Gli attori per raccontarlo in modo attivo lo devono recitare oggi. Non “al giorno d’oggi”, ma oggi, giorno tale del mese tale all’ora tale, proprio quando il pubblico viene lì a vedere e devono essere il “presente” e l'”attenzione” proprio come il coro del teatro tragico. E se a differenza di quello saranno coinvolti in sentimenti borghesi e quotidiani, sarà proprio quel coinvolgimento il loro modo di interrogare il Mito.
Perché l’Idiota è il più disperato e forse ultimo (e riuscito) tentativo dei nostri tempi di creare un Mito senza l’humus generatore di una tradizione collettiva e sociale alle spalle. C’è dentro una volontà di dell’autore esasperata e sempre presente che non consente di cancellare completamente il romanzo dalla vita dalla rappresentazione. Anzi la presenza di un pensiero concreto che ricordi, riallacci, evochi, alluda, suggerisca e soprattutto fluisca e scorra come un fiume nel quale l’attore giochi a farsi trascinare dalla corrente o ad opporvisi lottando conto di essa o a scomparire annegando trai i suoi flutti e a incanalarla. o ad espanderla o arginarla trasformandola in un lago quieto fino alla morte, la presenza di questo pensiero, dicevo, con cui abbiamo sempre fatto i conti durante l’allestimento, riempie lo spazio teatrale come solo può fare la musica dal vivo quando irradia le sue note dal cuore stesso della scena.
La materia, con tutte queste sue conflittualità, si colloca in uno spazio scenico che è fisico in quanto tale e, nello stesso tempo mentale per la totale rarefazione dei segni più distraenti. L’attore può concentrarsi così sulla necessità del racconto e questo gli consente il piacere urgente e infantile di abitare l’impossibile esperienza di un “vero” stato di innocenza dove l’amore senza riserve sia sostanza, o comunque di offrire a questo stato tutta la fragile e vibrante realtà del Teatro.
Gigi Dall’Aglio

Note sull'adattamento

Quando si fa la riduzione teatrale di un romanzo, una delle tante possibili, in teoria ci sono almeno due modi di procedere diversi per non dire antitetici: si può sentire l’esigenza di staccarsi dal testo originale variandone il senso anche fino a capovolgerlo, oppure il fine ultimo è quello di conservarne il più possibile il senso e i valori espressivi. Con “L’idiota” mi è capitato di sperimentare, in tempi diversi, tutt’e due le strade.
Nel 1977, con Bruno Cirino nel ruolo di Myškin per la regia di Aldo Trionfo, scrissi un testo che non era basato sullo sviluppo dell’azione drammatica e sulla psicologia dei personaggi, ma dove tutto accadeva come in una composizione musicale polifonica.
Nel 1998, con Giulio Scarpati nel ruolo di Myškin per la regia di Gigi Dall’Aglio, ho costruito un testo con una struttura teatrale simile a quella che si riscontra, parlando in generale, nei classici di ogni epoca. In altre parole, un testo costituito da una parte iniziale in cui vengono presentati gli avvenimenti e la situazione da cui scaturisce l’azione rappresentata; da una parte centrale in cui l’azione si sviluppa in crescendo fino a raggiungere la sua dimensione chiaramente e compiutamente delineata; da una parte finale in cui l’azione culmina e si conclude con la catastrofe o con il lieto fine o con una delle varianti intermedie. Inoltre, le scene che compongono il testo possiedono forza dinamica, specifica e interna, sono concatenate tra di loro e nello stesso tempo sono imprevedibili. Le sorprese dell’intreccio e i colpi di scena, però, non sono fini a se stessi ma rivelano la complessità della realtà e della psicologia dei personaggi. Naturalmente il risultato poetico non è meccanico ma creativo.
Partendo da un romanzo come “l’Idiota” (circa 800 pagine), per ricavarne un testo teatrale (circa 100 pagine) ho dovuto effettuare tutte le scelte necessarie e sufficienti per conservare l’essenza del romanzo come si manifesta nello svolgersi dell’azione principale. Per ottenere questo risultato non è bastato fare dei tagli ma si è resa necessaria una elaborazione drammaturgica, sia pure nel più rigoroso rispetto del testo di Dostoevskij da me nuovamente tradotto con particolare attenzione ai vari registri linguistici del testo originale. Il tutto mi ha impegnato per un lungo periodo di lavoro molto intenso … avvalendomi anche di tutto quello che Dostoevskij ha lasciato scritto nei suoi quaderni di composizione dell’Idiota e in varie lettere.
Angelo Dallagiacoma

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