Oreste
di Euripide
traduzione Dario Del Corno
scene Bruno Buonincontri
costumi Santuzza Calì
musiche Marco Betta
coreografie Giuditta Cambieri
regia Piero Maccarinelli
con
Elisabetta Pozzi
e con (in o.a.) Chicco Alcozer, Gigi Angelillo, Anita Bartolucci, Ruggero Cara, Giovanni Crippa, Vittorio Franceschi, Manuela Mandracchia, Marco Marelli, Laura Mazzi, Francesco Migliaccio, Graziano Piazza
Le due tragedie – Oreste ed Elettra – hanno debuttato, nel mese di giugno, al Teatro Greco di Siracusa nell’ambito del XXXVI Ciclo di Spettacoli Classici del Teatro Greco di Siracusa realizzato da Istituto Nazionale del Dramma Antico e INDA SICILIA srl
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L’Oreste, rappresentato nel 408 a.C., appartiene all’ultima fase della produzione di Euripide, e offre un esempio tipico dei modelli strutturali e tematici a cui il drammaturgo affida il suo programma di inaugurare una tragedia “Nuova”. Il patrimonio mitico tradizionale è rivisitato in una trama di assoluta originalità. Euripide reinventa la cupa vicenda degli Atridi nella chiave di un romanzesco totale, gremito di avvenimenti impreveduti e strani. Nell’azione ricorrono alcune situazioni tragiche; ma il fondamento dell’idea “tragica”, ossia il rapporto problematico dell’eroe con il proprio destino, si tramuta nell’immagine di un irreparabile caos, che per Euripide è l’immagine della condizione umana, abbandonata all’arbitro della divinità. Grazie alla straordinaria maestria drammaturgica dell’autore, il progetto intellettuale dà corpo a un’azione di stravolgente spettacolarità, in cui le grandi figure del mito risultano sottoposte a una corrosiva dissacrazione.
Nell’antichità l’Oreste ebbe grande fama e successo per le sue qualità teatrali; il suo ritorno sulla scena moderna potrà rivelare un aspetto meno noto dell’arte euripidea, e includere di nuovo questo dramma fra i capolavori della tragedia greca.
Dario Del Corno
Note di regia
L’Elettra si conclude con una separazione dei due fratelli: abbandonano il luogo che è stato teatro di un omicidio. La morte della madre Clitennestra e la soluzione portata dai Dioscuri prevedono il matrimonio di Elettra con Pilade e l’esilio di Oreste.
L’Oreste scritto cinque anni dopo non tiene più conto di questa conclusione. Parte invece come se l’intervento dei Dioscuri non fosse avvenuto. Oreste, inseguito dalle Erinni, preda di crisi depressive e di angosce tremende per l’enormità dell’assassinio, è addormentato su un misero carro che gli fa da giaciglio davanti alla reggia. Menelao ed Elena sono arrivati ad Argo. Elettra, in un’inedita prospettiva quasi materna, sta accudendo Oreste. Non è più l’Elettra del dramma precedente. Non è la sposa di un contadino, è meno certa, meno determinata, attende soprattutto il verdetto della città, la condanna a morte per lapidazione dei due fratelli per matricidio, e affida le sue speranze di salvezza in Menelao che, ricongiunto con Ermione, la figlia, possa salvarli.
Elena chiede aiuto ad Elettra ed invia, su suo consiglio, Ermione a sacrificare sulla tomba di Clitennestra. Elettra è durissima con lei. Il coro partecipa del dolore di Elettra. Oreste si risveglia dal suo sonno e non sa dove si trova. Il delirio lo coglie, poi la lucidità: “Elettra, smetti di tormentarti per il mio delitto: tu eri d’accordo, ma il sangue di nostra madre l’ho versato soltanto io e ora accuso Apollo che mi ha spinto a quest’orrore; ma poi solo a parole mi conforta e non nei fatti”.
È una dimensione completamente diversa da quella dell’Elettra. La reggia è lo sfondo. Un solido sfondo. Un solido sfondo. I personaggi si presentano sulla scena che è lo spiazzo davanti alla reggia dove solo giace Oreste. E fino al resoconto della città riportata dal messo si susseguono Elena, Menelao, Tindareo, Pilade, ma non c’è da concatenarsi di fatti. L’oratoria dilaga in ampi spazi fino al momento in cui Oreste con Pilade decide di recarsi all’assemblea per cercare di difendersi.
L’assemblea è descritta dal messaggero come una rissa di posizioni discordanti spesso opportunistiche. Menelao, che spera di impadronirsi del regno di Argo, non è neppure presente. “Le istituzioni non sono al di sopra dei contendenti. Non si discute di grandi principi etici, non si propone un codice di leggi più alte. Il discorso verte sull’ordine pubblico e privato. La fallibilità sembra il carattere fondamentale nel comportamento degli uomini, i quali dovrebbero gestire bene la loro convivenza, ma invece si rivelano incapaci di retto autogoverno”.
Da questo punto la tragedia cambia direzione. Ritornano le decisioni. Oreste, Elettra e Pilade, superato il primo sconforto sono ora tre lucidi congiurati. C’è una precisa strategia sotto le loro azioni: un pensiero. La tragedia riparte, si inanellano i colpi di scena, le decisioni ritrovano spazio, fino alla catastrofe finale.
È Apollo con Elena (il regista con la primadonna di tutta la saga?) che riporta l’ordine di una trama sempre più aggrovigliata, compresa la variante del Frigio, vero personaggio da commedia.
Oreste è ritornato padrone della situazione: un Oreste cresciuto dal peso delle azioni, dalla colpa metabolizzata e assunta, e infatti Pilade si azzittisce, ma il male non è stato vinto, tutto è stato inutile. La guerra di Troia è stata scatenata perché un gran numero di imbecilli morisse, Elena non è morta ma è assunta in cielo, Pilade sposerà Elettra e Oreste Ermione, la cugina che voleva ammazzare: si ricompone un ordine disordinato.
È insomma un irreparabile caos, una sceneggiatura alla “Truman Show”. Spiati da un regista occulto, gli uomini agiscono credendo di essere nel giusto, ma tutto è insensato. E dalla fine possiamo ricominciare: Euripide, nostro contemporaneo. “La presunta ragione dell’uomo è in realtà una follia?”
Piero Maccarinelli
Scene
Due messe in scena di tragedie dello stesso autore, ravvicinate non solo dalla consecutività della vicenda ma anche dall’identità del cast artistico nella sua totalità, rappresentano un’esperienza nuova molto stimolante.
Ciò che accomuna le scelte da me operate nella creazione delle due scenografie è il rispetto del luogo in cui sono collocate, in senso spaziale, ovviamente, ma anche in senso qualitativo. Non ho cercato nulla che tentasse di imitare i materiali esistenti nel luogo, nulla che tentasse di pretendere di essere ciò che non è. Il tavolato di copertura è stato a sua volta ricoperto della stessa terra del luogo. I materiali usati per la costruzione sono veri, stoffa, corda, legno, ferro, senza make up.
Ciò che invece distingue la scenografia dell’Oreste da quella dell’Elettra è la prospettiva. Per l’Elettra lo spazio del teatro è rimasto completamente aperto, nella sua ampiezza totale, quasi a dare una visione aerea, complessiva, di chi guarda da lontano.
Per l’Oreste, invece, la scelta opposta, il ripristino di una skenè in legno chiude la vista dello spazio retrostante e limita e restringe la visione, quasi a osservare da vicino e intimamente la macerazione di Oreste e degli altri personaggi.
Non c’è collocazione temporale né geografica precisa dei due luoghi suggeriti. Le vicende che vi si svolgono sono vicende eterne dell’uomo.
Bruno Buonincontri
Costumi
Siracusa, il teatro greco di Siracusa: chi c’è stato pensa di ornarci, chi non c’è stato ne aspetta l’occasione.
È uno spazio particolare, un teatro diverso da altri classici; il solo pensarlo vuoto sotto il sole, sia pieno di volti attenti, mi suscita emozione, mi incute rispetto.
Sono stata altre volte a lavorarci, a volte solo per guardarlo e camminare sulle scalinate…. e camminando sulle scalinate, leggendo i testi di Elettra e di Oreste, raccontati ambedue da Euripide, parlando poi a lungo con Piero e Bruno, poco a poco i personaggi escono fuori come da una pellicola sbiadita dalla mente e prendono corpo; individuo una chiave di partenza totalmente diversa per un testo o per l’altro per poi confrontarle, completare, aggiungere, levare.
Pezzi di stoffa, colori non colori.
Qualche nota sul mio lavoro in questo spettacolo.
…un mondo di nomadi, zingari contadini di un Medio Oriente e di un Mediterraneo in parte immaginato, in parte più volte da me constatato. Oggi come ieri, come secoli e secoli fa, in certi posti uomini e donne continuano a modellare e cuocere la terra, a intrecciare stuoie e tappeti, a tessere e colorare tessuti che poi uniscono tra loro con casuale sapienza. Si fanno vesti, copricapi, kilim e sacchi: poi il sole stinge e amalgama il tutto…
Queste sono le mie intenzioni, le confeme arriveranno solo quando comincerà l’Elettra e poi l’evento di Oreste: gremito e vociante di spettatori, il grande teatro si zittirà all’improvviso e si ripeterà il rito di sempre. Non ora, ma forse allora potrei dire qualcosa di preciso su questi costumi.
Santuzza Calì