Guappo di Cartone
di Raffaele Viviani
scene Bruno Buonincontri
costumi Silvia Polidori
musiche di R.Viviani elaborate da Pasquale Scialò
regia Armando Pugliese
con in o.a.
Monica Assante di Tatisso, Umberto Bellissimo, Italo Celoro, Luciano Fruttaldo, Nuccia Fumo, Loredana Giordano, Franco Iavarone, Ernesto Lama, Maria Teresa Lettieri, Nello Mascia, Enrica Mondola, Gino Monteleone, Nando Paone, Anna Maria Paradiso, Giovanni Parisi, Maria Laura Rondanini, Patrizia Spinosi
Prima nazionale – Benevento, Teatro Massimo, 13 dicembre 1989
Trama
Il Guappo di Cartone avrebbe potuto recare come sottotitolo “il disoccupato”, oppure: “come qualmente un uomo per necessità stato cattivo, colpito da pentimento e da una volontà di ravvedimento si trovi di fronte ad una società parte della quale non gli perdona i passati errori e l’altra parte non vuole che non faccia più errori o si ravveda”. È questo infatti il nocciolo del Guappo di Cartone.
Sanguetta, il guappo, ha scontato cinque anni di prigionia in un’isola, in un bagno penale. Trascorsi i cinque anni egli sta per giungere a Napoli, nel suo vicolo, e tutta la gente, amici, parenti e curiosi lo aspettano per fargli festa, quasi fosse il reduce, come dice Giovanni, delle patrie battaglie, o un eroe, o un grande uomo.
Egli infatti ha osato schiaffeggiare Aniello Terremoto, temibile malandrino; e Rachele, una “maesta” di vicolo che tiene sartoria e lavoranti e denaro, crede che Sanguetta abbia schiaffeggiato Terremoto per amor suo. Rachele da un sentimento di riconoscenza passa ad amare follemente il giovane guappo e laggiù, all’isola, gli manda fasci d’infuocate lettere e denaro, che Sanguetta respinge.
Quando Sanguetta ritorna a casa, trova il basso trasformato, rifatto a nuovo, trova abiti e quanto altro si possa desiderare e per di più l’amore della bella e voluttuosa Rachele, che ha prestato il denaro alla madre di Sanguetta perché il suo ipotetico amante venisse ricevuto come uno sposo, come un re. Da questo momento Sanguetta potrebbe vivere comodamente a spese di Rachele. Avrebbe il denaro e una bella invidiata donna; e nessuno lo disistimerebbe perché in certe parti di Napoli conta il denaro e non la sua fonte, perché esser magnaccio e guappo sono titoli di grande merito.
Ma Sanguetta – caso molto singolare a Napoli – rifiuta tutto, tutto. Denuncia a Giovanni l’amore adultero di sua moglie Rachele; rimprovera la madre di essersi quasi prestata a far da ruffiana e dichiara apertamente ai suoi amici che egli non si sente di continuare ad andare per la via della “guapperia”. L’isola, che descrive con parole assai icastiche, è stata per lui una tremenda, paurosa esperienza e gli anni della pena l’hanno costretto a soffrire e a pensare e sente che qualche cosa in lui è cambiato. Egli vorrebbe essere un uomo onesto, un cittadino esemplare, un lavoratore, vuol chiedere perdono a Terremoto, vuole vivere sudandosi il pane e sposando una “bona giovane”. Alla fine della commedia Sanguetta riuscirà anche a trovare lavoro e il tutto si conclude lietamente.
tratto da “Teatro di Raffaele Viviani” edizione ILTE
Note di regia
“Guappo di cartone” è leggibile come una favola.
A differenza dei grandi affreschi vivianeschi sui mondi dello spettacolo o di quelli sulla religiosità e sulla socialità partenopee, in questo testo l’azione è concentrata fin dall’inizio, e non si allarga mai durante lo svolgimento, quasi come se l’autore non avesse voluto disperdere l’attenzione sua e del pubblico da ciò che capita all’ex guappo Sanguetta nel suo percorso di riscatto, e quello che incontra al suo rientro è un mondo che si è mantenuto immobile nelle sue regole e nei suoi comportamenti mentre lui è cambiato, identificando una strada difficile che percorre con determinazione dall’inizio alla fine, senza quasi mai essere capito. Come nelle favole il protagonista non lo si perde mai di vista e si percorre insieme a lui il viaggio che compie.
“Guappo di cartone” è leggibile come una Favola.
Perché, come si sa, ogni affabulazione finisce in bene ed anche la sua vicenda sarà a lieto fine. Una concezione pessimistica dell’esistenza, ci avrebbe fatto trovare il guappo rendendo appeso ad una trave del soffitto, sconfitto da una società che non ammette errori e soprattutto non ammette che questi errori, una volta pagati, vengano dimenticati. Ma questo non è il sentire di Viviani, che fa corrispondere alla determinazione con cui Sanguetta persegue il suo riscatto sociale il deus ex machina della solidarietà umana, che spesso supplisce alle carenze dell’organizzazione sociale.
“Guappo di cartone” è leggibile come una Favola.
Se si rapporta ciò che nel testo viene narrato alla realtà che ci circonda, ben più virulenta di quella bonaria dei ‘paccheri’ e dei ‘buffettoni’ che si scambiavano tra di loro i ‘guappi’ dell’epoca come sgarro massimo, il tutto è oggettivamente favolistico, nel senso positivo del termine, e quanto vien detto vale oggi come ieri, fatte le debite proporzioni. Le parole di Viviani sono libere e leggere come quelle di una favola ma, proprio per questo, hanno la forza ed il peso di una verità non mutabile, ‘ammaestrano’ come direbbe uno dei guappi da operetta che incontriamo nel primo atto.
“Guappo di cartone” è leggibile come una favola, e noi come una favola abbiamo cercato di proporlo, una favola un po’ realistica, un po’ grottesca, un po’ surreale, ma che fa pur sempre parte di quell’infinito patrimonio di storie che una città racconta.
Armando Pugliese