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Luparella

di Enzo Moscato

Una straordinaria e lavica Isa Danieli interpreta Nanà, anima candida e reietta, voce strampalata e grottesca da epopea degli Ultimi.

ovvero Foto di Bordello con Nanà

ideazione scenica e regia Enzo Moscato
costumi Giuliana Colzi
musiche originali Pasquale Scialò
luci Cesare Accetta

con
Isa Danieli
Giuliana Colzi, Patrizia De Libero, Franco Coni
(fisarmonica)

La prima rappresentazione è andata in scena al Palmeto di Villa Campolieto il 4 luglio 1997, durante la XII edizione del Festival delle Ville Vesuviane.

 

 

Note di regia

Protagonista della vicenda è Nanà, l’anima candida e reietta, giovane-vecchissima creatura al servizio “minuto” delle donne di un bordello arroccato sui “Quartieri Spagnoli”, nella Napoli, desolata e avvilita, dell’occupazione nazista, sul finire dell’estate del 1943. È Nanà, simbolo di una Napoli-risentimento e non da folclorica cartolina, voce e volto d’azione di riscatto, a fronte delle infinite bugie e menzogne su un popolo, consegnatoci da chi ce lo tramanda come inerte e infingardo, pagnottista e voltagabbana, a farsi, nella vicenda, l’artefice violenta d’un delitto, d’una specie di catarsi, improvvisa e sanguinaria, attuata a difesa di una vittima, di qualcuno più soggetto e più debole di lei: di Luparella, appunto: l’altro corpo-non corpo in scena, puro fantasma, evocazione di memoria, ombra fedele di Nanà nell’osceno e sboccato rosario dei martirii. Luparella, vecchia puttana dei casini, consumata dalle malattie e le paure. Soglia, pietosa e disumana, in bilico continuo tra essere e non essere, speranza e perdizione, che muore nel dare alla luce, nel bordello spopolato perfino dalle sue “signorine”, un’anonima creatura, fatta venire al mondo dalla stessa incompetenza e passione di Nanà, mentre che, sul letto, “in articulo mortis”, la vecchia prostituta viene ancora oltraggiata dalla foga sessuale di un giovane nazista, salito alle stanze del casino, perché in cerca occasionale d’amore, o forse, d’ulteriore, occasionale sopraffazione a danno d’indifesi. Questo riallestimento tende a sottolineare gli aspetti evocativi e metaforici della pièce nonché a marcare fortemente le valenze squisitamente linguistico-fantastiche del testo che, sulla scena, diventa quasi un canto continuo, una sorta d’appassionato “lied” tedesco-partenopeo, veicolante l’essenza d’universo, cosmo, della realtà di Napoli, qualcosa di non provincialistico o locale, pur usando fino in fondo l’arcinoto e teatralissimo suo idioma.
Enzo Moscato


Musica

Luparella, ovvero Foto di Bordello con Nanà, è una sequenza teatrale per voce sola che evoca una dolorosa polifonia emotiva ambientata sul finire della seconda guerra mondiale.
La musica attraversa il tessuto del racconto, come il sonoro di diapositive deformate, collocandosi di volta in volta su d’un diverso piano acustico per cogliere inquadrature ed ambienti di un ciclo inarrestabile di degrado e sofferenza. Sono voci intermittenti ora autenticamente del passato, come quella struggente quanto familiare dell’interprete Rosa Moretti, ora quella in scena che sulle macerie dei sentimenti umani canta impunemente, con enfasi piedigrottesca, Che fuochi a mare! , tra il contrappunto di contraeree e deflagrazioni belliche. Poi lunghi silenzi o il timbro lontano di una fisarmonica. È la Musica e’ Tuledo, un terapeutico arredo sonoro che sale dalla strada attraverso le finestre di un bordello, per lenire il caldo asfissiante delle prostitute, recluse in stanze –topaie.
E quando l’orrore si fa inaccettabile con un macabro rito di necrofilia alla presenza muta e indifesa di un neonato, il Winterreise, il viaggio d’inverno, si colora inevitabilmente dalle rosse tinte di un cruento omicidio. Il ciclo lascia ora il posto ad una infinita pietà, evocata col Lied Gute Nacht che, come una ninna nanna di morte e di rinascita, intona:
Fremd bin ich eingezogen, (Come un estraneo son venuto,)
Fremd zich ich wieder aus. (Come un estraneo riparto.)
[…] Ans Tor dir : ” Gute Nacht”, (Sull’uscio: buona notte;)
Damit u mögest sehen, (Potrai così vedere)
An dich hab’gedacht. (Che ho pensato a te.)
Pasquale Scialò